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Foto di Waley Cohen al Bargello © Veronica Citi
Massimo Crispi
Sembra che per ascoltare delle novità e soprattutto per conoscere dei musicisti che stanno sbocciando nel mondo al di là dei confini politici di questo nostro paese (dove l’evento musicale è la canzone dell’abominevole trio pupoprincipetenore a Sanremo... si salvi chi può) sia necessario frequentare le stagioni di musica da camera di società concertistiche considerate a torto minori, ma che in realtà compiono un gran lavoro di fertilizzazione e di innesti, di ibridazioni, di ricerca per donare al pubblico questi fiori rari e consentire una reale informazione. Anche perché al di là di queste realtà circoscritte, che poi tanto locali non sono e che si rivelano più cosmopolite di tante altre “maggiori”, vige la dittatura dello star system che impone le vere o presunte star con programmi sempre uguali e che esclude chi si fa avanti per esprimere la propria arte, spesso anche meglio delle star. È il caso della stagione cameristica FLAME (Florence Art Music Ensemble), al Museo del Bargello, tutta incentrata sulle sonate di Beethoven per flauto, violino, violoncello e pianoforte. L’intelligenza della programmazione, che la differenzia da molte altre, fa in modo che accanto alle opere classiche trovino posto quelle di autori contemporanei o comunque moderni. Importantissimo questo contatto colla modernità: Scelsi, Panni, Cavallari, Stockhausen, Huber.
Il 25 febbraio scorso abbiamo assistito a un concerto assai interessante con la giovane violinista inglese Tamsin Waley-Cohen e il pianista Gregorio Nardi che hanno presentato la Sonata n. 7 in do minore op. 30 n. 2 e “La Primavera” op. 24. Tra l’una e l’altra sonata la violinista ha proposto tre brevi pezzi per violino solo di George Benjamin, compositore britannico che compie 50 anni e che è molto festeggiato in Gran Bretagna, pare. Bisogna spendere qualche parola sulla Waley-Cohen prima di andare avanti, perché l’artista merita un ritratto particolareggiato. A soli 24 anni la violinista inglese ha bruciato tappe importantissime, vincendo prestigiosi concorsi (2005 Royal Overseas League String Prize, 2007 J&A Beare Bach competition) e suonando come solista con orchestre come la Royal Philharmonic e molte altre, avendo anche un’ulteriore, enorme fortuna: quella di suonare dal 2007 sul violino Stradivari appartenuto al celebre violinista ungherese naturalizzato canadese Lorand Fenyves, deceduto nel 2004, alle cui master classes la Waley-Cohen aveva partecipato. Il suono di questo strumento è indescrivibile. Si potrebbe davvero paragonare a una voce umana di eccelsa qualità, il cui canto racconta l’anima più intima degli autori, la storia mai scritta delle loro emozioni e dei loro sentimenti che, passando nei secoli attraverso le mani magiche di chi ne sa aprire il lucchetto segreto, si palesano per la prima volta a chi ascolta. E sia Waley-Cohen che Nardi hanno “cantato” tutta la serata, dalla prima nota all’ultima, regalandoci un Beethoven quasi irriconoscibile, privo di orpelli post-romantici, ma al contempo passionale ed elegantissimo. “La primavera” ritrovava tutta la sua dimensione quasi rococò e la leggerezza del fraseggio, senza mai un suono stridulo o costretto, ma al contrario con una libertà e una grazia che da tempo non ascoltavamo.
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