Massimo Viazzo
L’eleganza di Murray Perahia, la visione cartesiana di András Schiff, le seduzioni coloristiche di Leif Ove Andsnes: ecco, in sintesi, gli esiti del miniciclo pianistico organizzato dal Quartetto di Milano in occasione del doppio anniversario Chopin-Schumann, una breve rassegna che ha mostrato una volta di più come approcci differenti possano illuminare l’opera d’arte musicale da prospettive anche apparentemente incompatibili. Prendiamo Schumann, ad esempio. Schiff, in quello che era l’unico recital monografico delle serie, punta dritto alla sostanza musicale intesa come struttura, amplificandone le connotazioni armoniche e contrappuntistiche in una visione globale di grande saldezza formale (non a caso il pianista ungherese ha proposto due lavori ad ampio respiro quali la Sonata in fa diesis minore n. 1 e la Fantasia op. 17). Schiff predilige la ponderatezza di un Maestro Raro anche a costo di cedere qualcosa in termini di fascinazione timbrica, e così il dettaglio, la voce interna diventano improvvisamente i veri protagonisti di una realizzazione calibratissima anche se, a volte, un po’ asettica. Esemplare, comunque, la lettura speculativa delle toccanti e rare Geistevariationen poste in una luce diafana, fioca, quasi una contrascena, e viste come un vero e proprio Abschied dal mondo, dalla vita.
Foto: Leif Ove Andsnes © Simon Fowler ©Florestano e, soprattutto, Eusebio riappaiono prepotentemente nel pianismo di Leif Ove Andsnen la cui paletta timbrica rapisce anche per una rara abilità nel dosaggio dei pesi sonori, soprattutto quando si avvicinano le regioni del piano e del pianissimo (ma nella breve selezione da Játékok di Kurtág, e segnatamente in Aus der Ferne II e in Hommage a Farkas Ferenc II, Andsnes riesce anche a reinventarsi il timbro del pianoforte trasformandolo inopinatamente in uno strumento a pizzico!). Il pianista norvegese predilige la bassa voce, l’intimità delle mura domestiche, una narrazione che sa trasfigurarsi in colloquio intimo. In tal senso paradigmatica è parsa l’interpretazione della Kinderscenen (il programma di sala recupera la scrittura originaria con la lettera c in luogo della z) in cui il tono crepuscolare si fonde perfettamente con quello sguardo di nostalgica lontananza sul mondo dell’infanzia che permea queste pagine. A dire il vero, nella seconda parte del concerto, la poetica chopiniana viene come fagocitata da questa visione e i Valzer sembrano così ancora propaggini straniate dell’universo onirico schumanniano: niente salotto, inteso come superficiale e ammiccante resa del dettato musicale, ma un’intimità limpida e sentita che sa comunicare confidenzialmente e che unita ad una tecnica salda e brillante permette a Leif Ove Andsnes di schivare le vacue sirene virtuosistiche puntando decisamente sulla poesia. Foto: Murray Perahia ©Copyright © 2008 SONY BMG MUSIC ENTERTAINMENT
Con Murray Perahia eccoci, infine, di fronte alla nobiltà del porgere, all’eloquenza del gesto, alla sicurezza del fraseggio, alla rotondità del suono (anche in Bach… e i filologi forse hanno storto un po’ il naso). Senza stravolgimenti interpretativi, senza escursioni dinamiche esasperate ed esasperanti, tutto suona giusto, eufonico e ognuno si può sentire cullato nelle proprie certezze. Perahia non ostenta, ma il lavoro di cesello è continuo e senza posa. Nessun rischio di sentimentalismo nel suo Chopin, dunque, e nessuna gigionata, via i facili istrionismi. E la penultima Sonata di Beethoven è scorsa con un occhio rivolto alla tenuta complessiva del brano e l’altro all’espressione sempre nitida, cantante e vera per un’interpretazione caratterizzata da estrema naturalezza, affabile e profonda.
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