Il soprano statunitense Renée Fleming ha debuttato nella sala da concerto Renée and Henry Segerstrom Concert Hall di Costa Mesa California in un recital presentato dall’Associazione Philharmonic Society of Orange County. Tra le recite di Capricco al Metropolitan di New York e un giorno solo prima di partire per Berlino dove è stata invitata come solista dai prestigiosi Berliner Philharmoniker, la Fleming ha trovato il tempo per quella che sarà la sua unica apparizione sulla costa ovest degli States, nella quale ha offerto un programma insolito costituito da arie d’opera, brani da musicall americani, con accompagnamento al pianoforte, e una selezione di canzoni tratte dal suo disco crossover “Dark Hope” con il quale ha fatto le sue prime incursioni in carriere nel genere pop-rock, con tanto di banda rock sul palco. La parte operistica del concerto è iniziata con arie tipiche del repertorio e della carriera del celebre soprano: Allons! Il le faut…Adieu notre petite table dalla Manon di Massenet e Ah! Je ris de me voir si belle dal Faust di Gounod nelle quali ha ben esibito un’ampia proiezione vocale e una tonalità brillante, ma con interpretazioni un po’ fredde e poco attendibili in quanto a dizione. Con il passare del tempo la sua voce si è fatta calda e il calore e l’intensità erano meglio percepibili in un arie come Soft People e I want magic dall’opera A Streetcar Named Desire di André Previn, scritta proprio per la sua voce nel 1988 quando a San Francisco diede vita alla prima mondiale di questo lavoro vestendo i panni di Blanche Dubois. Del compositore Dave Grusin cantava poi una spumeggiante versione di Two Rivers da The Water is Wide/Shenandoah, e un’affabile e idiomatica versione di Somewhere e I fell pretty da West Side Story di Bernstein, una musica adattissima alla sua linea vocale e alla sua naturalezza. La sua selezione di arie italiane è stata piacevole ma un po’ routinaria ne Io sono l’umile ancella da Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea e poco convincente in Vissi d’arte dalla Tosca. Il momento più alto del recital è stata l’esecuzione ispirata della commovente Canzone della Luna dalla Rusalka di Dvorak, in una interpretazione carica di suggestione e sentimento, che fu resa con ampia gamma di colori a livello timbrico. Un armonioso Vilja lied da La Vedova Allegra di Lehar e una espressiva e graziosa Mercè dilette amiche dai Vesptri Siciliani di Giuseppe Verdi hanno completato il recital operistico. Dopo ogni gruppo di tre brani la Fleming raccontava al pubblico aneddoti e storie allusive sulla sua propria carriera o sui pezzi che interpretava. Al pianoforte per la parte lirica c’era il pianista Richard Bado, direttore musicale associato dell’Opera di Houston, solido e dinamico, ma alcune volte sembrava dimenticare che stava accompagnando una voce, con conseguenti rischi di cattiva sincronia e sfasamento. Nella seconda parte del concerto, e accompagnata da una banda rock (composta da batteria, tastiere. violino, chitarra e banjo elettrico) la Fleming ha mostrato un nuovo volto musicale poco conosciuto, ma interessante che ha sorpreso o irritato più di uno spettatore in sala, nella quale ha interpretato al microfono cinque cover come In your eyes di Peter Gabriel, Halleluyah di Leonard Cohen e Soul meets body di Death Cab for Cutie, e altre ancora. Tre bis a conclusione del concerto, nuovamente col pianoforte, Summertime, Somewhere over the rainbow e l’aria O mio babbino caro.
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