BOLOGNA - Teatro Comunale Ernani di G. Verdi (Recita del 15 maggio 2011) Opera corale su cui prorompe l’irruenza dell’orchestra.
Giosetta Guerra
È un’opera con poca azione, basata sulle voci portate al limite e sull’orchestra che fa sentire la sua presenza: grande respiro all’inizio, morbida e agile nelle pagine solistiche, terribilmente forte e invadente sotto le voci, che vengono coperte nonostante la loro potenza, pompata nei finali e nel canto d’insieme, in cui si sente solo qualche grido disperato, sottolineando la parte peggiore di Verdi: lo smarcettamento e il bandismo. Roberto Polastri dirige l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. L’allestimento del Teatro Massimo di Palermo è un aprirsi e chiudersi di sipari e di velatini (che avrebbero dovuto accorciare i tre intervalli di 20’ l’uno) su esterni ed interni di stampo classico, ideati da Roberto Zito, autore anche dei bellissimi ed elaborati costumi prevalentemente neri, le luci di Daniele Naldi tendono a non illuminare troppo e la regia di Beppe de Tomasi non ha nulla di sconvolgente. Sul versante vocale Ernani, tenore eroico, lirico, ardente e disperato, è stato interpretato da Rudy Park, giovane tenore coreano che possiede una bella voce lirica di grande volume ed estensione, robusta e sicura nell’emissione (“Come rugiada al cespite”), ma da perfezionare nella tecnica, in quanto il canto non è aggraziato e la voce non è usata in funzione espressiva; manca lo scavo della parola scenica, che invece è perfetta in Ferruccio Furlanetto il quale, come il buon vino, migliora col tempo.
Il basso ha prestato la sua consolidata arte scenica e la sua bellissima, autorevole, calda voce, lunga e profonda, di pasta morbida e dal colore accattivante a Don Ruiz Gomez de Silva, un personaggio granitico, ma il più umano, il suono cavernoso viene all’occasione alleggerito con la morbidezza del canto, con un fraseggio intimista e con l’emissione sul fiato. Elvira ha avuto il giusto peso vocale, la dolcezza e l’ incisività d’accento, il profondo scavo del soprano drammatico Dimitra Theodossiou, vera “Regina del melodramma”, che ha unito vigore nello spiegamento del suono, morbidezza nella parola cantata, emissione sicura nei sensibilissimi filati sostenuti e rinforzati con la messa di voce. Il baritono Marco Di Felice, pur indisposto, ha sostenuto discretamente il ruolo di Don Carlo con una piccola defaillance verso la fine; la voce è piuttosto chiara e un po’aspra, ma ampia e ben proiettata. Le pagine corali sono state ben affrontate dal Coro del Teatro Comunale di Bologna, diretto dal maestro Lorenzo Fratini.
Il basso ha prestato la sua consolidata arte scenica e la sua bellissima, autorevole, calda voce, lunga e profonda, di pasta morbida e dal colore accattivante a Don Ruiz Gomez de Silva, un personaggio granitico, ma il più umano, il suono cavernoso viene all’occasione alleggerito con la morbidezza del canto, con un fraseggio intimista e con l’emissione sul fiato. Elvira ha avuto il giusto peso vocale, la dolcezza e l’ incisività d’accento, il profondo scavo del soprano drammatico Dimitra Theodossiou, vera “Regina del melodramma”, che ha unito vigore nello spiegamento del suono, morbidezza nella parola cantata, emissione sicura nei sensibilissimi filati sostenuti e rinforzati con la messa di voce. Il baritono Marco Di Felice, pur indisposto, ha sostenuto discretamente il ruolo di Don Carlo con una piccola defaillance verso la fine; la voce è piuttosto chiara e un po’aspra, ma ampia e ben proiettata. Le pagine corali sono state ben affrontate dal Coro del Teatro Comunale di Bologna, diretto dal maestro Lorenzo Fratini.
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