Sunday, June 26, 2011

La regina della normalità: Mariella Devia, Maggio Musicale Fiorentino

Foto: Mariella Devia - Maggio Musicale Fiorentino

Massimo Crispi


Un’artista, alla fine della carriera, fa dei bilanci, dei riassunti, tira un po’ le fila dei repertori e gioca colle marionette dei suoi personaggi, divertendosi un mondo e lasciando un po’ come un’eredità al suo pubblico: quella del ricordo. Era l’impressione che dava Mariella Devia nel concerto di chiusura del Maggio Musicale Fiorentino 2011 sulle regine donizettiane, ruoli d’elezione per una delle ultime regine del belcanto. Ma Mariella Devia è qualcosa di diverso. È la dimostrazione vivente che all’età di sessantatrè anni se si possiede una tecnica belcantistica, metodicamente acquisita, si possiede anche il segreto dell’eterna giovinezza e longevità vocale. Perché le scene finali delle opere Maria Stuarda, Anna Bolena, Roberto Devereux a cui abbiamo assistito sembravano cantate da una trentenne. Il miracolo vocale di Mariella Devia però non ha misteri, non ha quello che si direbbe l’eccezionalità di una manifestazione irripetibile perché sovrannaturale.

Domani sera la regina del belcanto potrebbe tranquillamente ripeterlo e chissà quante altre volte potrebbe farlo, se ne avesse voglia. Il miracolo della Devia è semplicemente il frutto di uno studio meticoloso, serissimo, certosino, di cesello d’ogni frase, di ogni singolo suono e fonema, di piegare una voce assolutamente normale a una tecnica fuori dell’ordinario. Perché poi, dopo averla sentita, uno ha sempre l’impressione che cantare sia facile, vista la naturalezza con cui l’artista sgrana colorature, sovracuti, filati e filatissimi, messe di voce, fiati lunghissimi, accenti a voce piena, senza mai una forzatura, mai un suono sguaiato. Che poi, quest’attenzione, forse talora eccessiva, a un controllo perenne del suo organo vocale le ha fruttato la nomea della ragioniera del belcanto, una che una volta che ha adottato una pettinatura che le si confaccia, può proseguire con quello stile per sempre. Questo secondo le malelingue e i partiti avversi che magari appoggiano un’altra monarca. Robe da melomani(aci) o pazze d’opera… La volontà ferrea dell’artista di realizzare in sé l’eccezione provenendo da un’assoluta normalità timbrica è davvero la dimostrazione che, alfierianamente, volere è potere.

D’altro canto, anche Giuditta Pasta, come affettuosamente ricorda Michael Aspinall nel nutrito e gustoso programma di sala, passata alla storia come una delle più grandi interpreti di tutti i tempi, si guadagnò questo titolo con un meticoloso studio, lottando quotidianamente con una strana voce (da alcuni classificata come di mezzosoprano, da altri di soprano) poco flessibile. Volle, e sempre volle e fortissimamente volle. E fu la prima Norma.

La serata, salutata da un’ovazione del pubblico ad ogni apparizione della divina, si è svolta intorno ai tre finali, preceduti dalle rispettive sinfonie. Costruito con l’inizio e la fine delle opere, come se in ogni singolo gruppo fosse contenuto tutto il succo dei singoli lavori, tra l’alfa (la sinfonia) e l’omega (il finale), il programma si è svolto rapido e agile, colla partecipazione di valenti comprimari come Katja De Sarlo (rispettivamente Anna, Smeton e Sara), Leonardo Melani (Leicester, Percy), Antonio Menicucci (Talbot, Rochefort), Nicolò Ayroldi (Cecil, Nottingham), Davide Siega (Hervey, Cecil), del buon coro di Piero Monti e con una direzione adeguata di Daniele Callegari.  La pirotecnica Mariella Devia, in maniera decisamente più elegante e soave e, ahimè, lasciandoci inevitabilmente il sapore agrodolce della nostalgia, ha anticipato di una serata i tradizionali fuochi d’artificio di San Giovanni e ci siamo allontanati dal teatro colla consapevolezza che siamo stati fortunati ad essere lì.

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