Fotografie © Gianfranco Rota
Renzo Bellardone
La nostra meravigliosa Italia è veramente
ricca di bellezza! Paesaggio, architettura, arte, musica ed ogni comparto che
può creare bellezza, la nostra nazione la può vantare. In un pomeriggio di
tardo autunno, assolato domenicale, una
passeggiata per Bergamo Alta, in mezzo al fascino delle sue mura, della Piazza
Nuova e della Piazza vecchia si potrebbe dire che ‘val bene una Messa’, ma in
questo caso si può anche dire ”val bene la produzione di un’opera donizettiana
rara, come ‘Il Borgomastro di Saardam”
Il Borgomastro ha indubbiamente
il fascino discreto di quel genere buffo, che ben
presto passò di moda. Fin verso il 1840, dopo la prima del 19 agosto 1827, l’opera
in questione fu eseguita, ma poi fin verso gli anni settanta fu dimenticata: in
quegli anni venne invece riproposta proprio a Zaandam, ovvero l’antica citta
olandese di Saardam. Dopo
la succitata rappresentazione non ho individuato traccia e quindi un grazie va
alla Fondazione Donizetti di Bergamo ed al suo direttore artistico Francesco
Micheli per la riconsegna agli appassionati, di questo melodramma giocoso del
prolifico compositore bergamasco.
Certo
la partitura riflette marcate influenze rossiniane fin dalle primissime note
dell’ouverture e poi nella ‘testa senza logica’ che
irrimediabilmente rimanda alla celeberrima ‘la testa
mi gira’ dal Barbiere di Siviglia, piuttosto che in altre arie centrali ed
il concertato finale. Alcune
belle citazioni donizettiane si inseriscono nella narrazione musicale,
impreziosendo invece la scrittura.
La
direzione del direttore Roberto Rizzi
Brignoli risulta puntuale, rispettosa e gioiosa al punto di stimolare
l’allegria e va ben ad intersecarsi con la regia di Davide Ferrario, interessante per le citazioni cinematografiche
degli inizi, ovvero con il bianco e nero ormai tremolate delle pellicole storiche; simpatico il filmato con il funerale
di corsa ed i carri funebri trainati da dromedari. Francesca Bocca ha firmato le scene di cui rileviamo lo scheletro
della nave in costruzione che con una piccola manovra scenica manuale si
trasforma in taverna affollata da allegri avventori con i costumi disegnati da Giada Masi, pertinenti all’insieme
dell’impianto scenico e registico, avvalorati dalla scelta di contestualizzare
diversamente il primo atto molto classicheggiante, dal secondo dove vive
l’essenzialità e le vivide luci disegnate da Alessandro Andreoli creano fondale. Il Coro, nel Borgomastro, ha un
ruolo rilevante e si apprezza l’opera del direttore Fabio Tartari e l’impegno dei coristi.
Venendo
alle voci si può riassumere che il cast è di buon livello. Lo Czar è interpretato dal baritono Giorgio Coaduro che sfodera tono
possente unito a forte presenza scenica, oltre alla buona sintonia a livello
interpretativo e vocale nel trio maschile; Juan
Francisco Gatell nei panni di Pietro Flimann conferma la dinamicità
attoriale e l’emissione chiara e fresca con buon fraseggio ed accenti
brillanti. Andrea Concetti, offre il
ben noto colore brunito con grande padronanza e disinvolta dimestichezza con il
palcoscenico.
L’interprete
femminile Irina Dubrovskaja veste i
panni di Marietta e le da voce con brillantezza ed agilità che sfocia in
facilità negli acuti, riservando piacevolezza nel registro centrale. Aya Wakizono seppure presente con brevi
interventi, ha ben caratterizzato il personaggio di Carlotta e si intuisce che può fare ben di più. Leforte
incontra il bel tono baritonale di Pietro
di Bianco che si esprime con colore scuro, gradevole all’ascolto. Ali
Mahmed viene cantato da Pasquale
Scircoli che tratteggia il personaggio con spigliatezza e timbricità anche
se con poche battute così come Alessandro
Ravasio, artista del coro, presta un uffiziale. La Musica vince sempre.
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