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Giosetta Guerra
Tra le riscoperte che il maestro Muti è solito proporre a Ravenna figurano quest’anno due magnificenze musicali: Betulia liberata, azione sacra in due parti di Mozart (1771) e Betulia liberata, oratorio di Jommelli (1743), entrambe su libretto di Pietro Metastasio, che narra la liberazione per mano di Giuditta della città di Betulia dal tiranno Oloferne, opportunamente adattato dai compositori alle loro esigenze nel numero dei personaggi, che in quella di Mozart sono di più, e nella attribuzione delle parti e quindi delle arie. L’immagine di Giuditta con in mano la testa sanguinante di Oloferne è stata tramandata da pittori del calibro di Donatello, Botticelli, Tiziano, Rubens, ma nel libretto di Metastasio Oloferne non compare neanche, se non attraverso il racconto di Giuditta, il tema centrale è una disputa teologica sul politeismo e monoteismo, Betulia potrebbe rappresentare la città di Gerusalemme e Oloferne ricorda l’onnipotente Nabucobonosor.
Teatro Alighieri: Betulia liberata con l’inconfondibile invenzione melodica di Wolfgang Amadeus Mozart. (4 luglio)
Il colorito fresco e giovanile della scrittura musicale di Betulia liberata, composta da Mozart a soli 15 anni, rispecchia il carattere di Amadeus quindicenne, che si dissocia già da un teatro troppo dotto e antiquato, l’orchestra ha un ruolo fondamentale, sia come controcanto alla voce nelle melodie sia come protagonista degli interludi strumentali. L’Ouvertura (= ouverture) in tre movimenti (Allegro, Andante, Presto), scritta nella scura tonalità di re minore, preannuncia la drammaticità della vicenda, le arie sviluppano i temi degli affetti e anche i personaggi minori hanno arie molto espressive. L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, preparata egregiamente dal M° Riccardo Muti, entra con disinvoltura nella varietà dei temi e delle dinamiche architetture musicali e restituisce la grazia dell’invenzione melodica inconfondibilmente mozartiana.
L’Orchestra e il bravo Philarmonia Chor Wien, preparato da Walter Zeh, creano un suggestivo amalgama sonoro e riempiono il teatro di sublimi sonorità. Al clavicembalo Speranza Scappucci. La scena si apre su un popolo di derelitti grigi e scalzi, striscianti tra moduli semicircolari inclinati, lavici e ferrigni, che girando su se stessi differenziano anche se di poco gli ambienti, oppressi da una cappa d’inquietudine, propria di un popolo assediato e prossimo alla riscossa. Tra le tuniche incolori e informi della folla spiccano i tre magnifici abiti (nero, turchese e rosso) di Giuditta, arricchiti di ori e gemme. Le masse corali formano suggestive figure d’insieme, la gestualità dei personaggi è molto curata e ben studiato il disegno luci. Scene di Italo Grassi, costumi di Gabriella Pascucci, regia di Marco Gandini, luci di Marco Filibeck. I cantanti sono giovani e sconosciuti, ma per lo più bravi e ben preparati.
Ozìa, principe di Betulia, è interpretato da Michael Spyres, un baritenore americano dal mezzo vocale ben timbrato nei registri medio e grave e chiaro ma corto in acuto. Affronta le lunghe e bellissime arie con dizione comprensibile, voce agile, sovracuti sicuri (“D’ogni colpa la colpa maggiore”), ha buone sonorità in tutti i registri, ma priva dello scintillio riscontrabile nella musica la difficilissima aria del secondo atto “Se Dio veder tu vuoi”, affrontata con poca scioltezza nella coloratura, suoni fissi e rigidi, acuti smorzati o sbiancati in falsetto, buone note gravi scure; è un’aria troppo acuta e troppo mossa per la sua voce che manca di flessibilità e di estensione in acuto. Cabri, capo del popolo, è il soprano genovese Barbara Bargnesi dagli acuti luminosi e belle inflessioni mezzosopranili. Nell’aria di dolore “Ma qual virtù non cede”, con accompagnamento orchestrale danzante, è brava nel porgere e nell’atteggiarsi, nell’eseguire la coloratura e la messa di voce, con attacchi melodiosi e naturalezza d’emissione.
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Carmi, capo del popolo, è il soprano leggero Arianna Vendittelli, la quale rivela incisività d’accento nel recitativo che precede l’aria ricca di pathos con musica agitata “Quei moti che senti”, eseguita bene, con bel timbro, pulizia del suono e buoni appoggi nella zona grave.
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