Foto: Fondazione Pergolesi Spontini-Jesi
Giosetta Guerra
Nel terzo centenario dalla nascita di Giovanni Battista Pergolesi la Fondazione Pergolesi Spontini onora il suo concittadino allestendo alcune opere del compositore jesino. Il 4 e il 6 giugno 2010 nel Teatro "Valeria Moriconi", uno spazio teatrale ricavato nella chiesa sconsacrata del convento di San Floriano, va in scena l’ultima opera composta da Pergolesi prima della sua prematura morte per tubercolosi all’età di ventisei anni, Il Flaminio.
Giosetta Guerra
Nel terzo centenario dalla nascita di Giovanni Battista Pergolesi la Fondazione Pergolesi Spontini onora il suo concittadino allestendo alcune opere del compositore jesino. Il 4 e il 6 giugno 2010 nel Teatro "Valeria Moriconi", uno spazio teatrale ricavato nella chiesa sconsacrata del convento di San Floriano, va in scena l’ultima opera composta da Pergolesi prima della sua prematura morte per tubercolosi all’età di ventisei anni, Il Flaminio.
In questa occasione viene introdotto il nuovo sistema tecnologico myKoiné, che permette di visualizzare sul display di un piccolo apparecchio touch screen che si tiene in mano i sopratitoli dell’opera, il programma di sala, l’argomento dell’opera, il cast, la sinossi, le immagini dell’allestimento ai video di backstage. MyKoiné nasce da una Joint Venture di due dinamiche società, la NetResults, azienda Spin-off dell'Università di Pisa, e la Eikon di Firenze, e dall’esperienza nel teatro di Cristian Venturini. Il Flaminio, rappresentato al Teatro Nuovo di Napoli nel 1735, è un’ opera di grandi dimensioni, in tre atti, per complessive 55 scene con una introduzione strumentale molto elegante in tre movimenti, recitativi di grande effetto, 24 arie, 4 pezzi d’insieme, 2 duetti, un terzetto ed il finale. Le arie, molto belle, hanno un’introduzione strumentale che ne annuncia il clima.
L’esecuzione musicale è affidata ad Ottavio Dantone, direttore e maestro al cembalo, e al complesso Accademia Bizantina, grandi esperti di musica del 700 e della prassi esecutiva barocca e ad una compagnia di canto specializzata. L’intreccio è complicato e stravagante, ruoli buffi convivono con ruoli seri, il dialetto napoletano si intreccia con la lingua italiana. In scena agiscono sette personaggi ognuno con le proprie specificità: i borghesi Flaminio e Giustina, parti serie derivate dall’esperienza barocca, Agata, Ferdinando e Polidoro parti di “colore”, Checca e Vastiano, parti buffe. Juan Francisco Gatell (Polidoro, fratello di Agata, innamorato di Giustina) fin dalla prima aria che è di gioia “Amor che si sta accolto” (atto II sc. I) dimostra di essere un tenore con bella proiezione vocale, bel timbro chiaro, robusto e deciso, corretto nel porgere e nel rispettare le dinamiche del canto.
Vito Priante (Vastiano, servo di Polidoro) è un basso dalla bella voce ampia, di buon peso, timbratissima sia nei recitativi che nel canto (“Con queste paroline”), ha note gravi importanti (“Quando voi vi arrosseggiate”), bellissima estensione e notevole capacità di alleggerire. Marina De Liso (Giustina, vedova innamorata di Flaminio) esibisce voce densa e di bel colore mezzosopranile, corpo vocale interessante, vibrante, ricco di pathos, luminoso in zona acuta, sia nelle arie di dolore (“D’amor l’arcano ascoso”), sia in quelle di furore (“In mezzo a questo petto”) sia in quelle che esprimono dolcezza (“Più, crudel, non mi dirai”). Laura Polverelli con un vestito bianco da uomo è Flaminio col nome di Giulio, amante di Giustina; nell’aria di furore, con introduzione strumentale e accompagnamento vigoroso, “Scuote e fa guerra” (atto I sc. IX) è una virtuosa con voce estesissima e solida, anche se piuttosto chiara per essere un mezzosoprano. Nell’Aria di disperazione molto lunga “O Dio. Sei troppo barbara” la voce è usata sia con impeto che con morbidezza. Serena Malfi in abito maschile grigio, scarpe e cappello neri, baffi, capelli brizzolati, occhiali, è fortemente caratterizzata nel ruolo di Ferdinando, un uomo pieno di fisime, promesso sposo di Agata; scenicamente bravissima, è un mezzosoprano dotato di voce pulita, ricca di sonorità e vibrazioni e luminosissima, canta bene sia le arie di dolore del tipo “Non si’ cchella ch’io lassaie” accompagnata da una musica struggente, sia quelle di rabbia come “Lo caso mio”.
Sonia Yoncheva (una provocante Agata, innamorata di Flaminio), è un soprano d’agilità che si destreggia benissimo nell’aria agitata “Non vo’ tal sposo” e alterna abilmente una vocalità lanciata con trilli, mezze voci e delicatezze su musica agitata nell’aria “Da rio funesto turbine”. Il soprano Laura Cherici (Checca, fante di Giustina) esegue con maestria arie brillanti del tipo “A lui donai mio core”.
Molto originale e funzionale il nuovo allestimento scenico di Benito Leonori. La chiesa a pianta centrale ospita il pubblico, in palcoscenico è disposta l’orchestra dietro un reticolato di corde e foglie, i personaggi agiscono in tutti gli spazi possibili e inimmaginabili, in palcoscenico, in platea, negli spazi laterali divisi da tende di corda (in quello a destra si vede Agata a mollo in una tinozza), dietro porte che si aprono intorno alla platea e nei terrazzini del piano superiore della chiesa, niente arredi, se non quattro sedie, ma quanta abilità a far sembrare pieno un palcoscenico praticamente inesistente e a coinvolgere il pubblico in un carosello di apparizioni, in cui le luci hanno ampio gioco (regia scherzosa con immagini anche in controluce e luci di Michal Znaniecki, costumi di Klaudia Koniecki). Spettacolo ben fatto e molto interessante. E sicuramente sarà stato bellissimo ed interessantissimo anche l’altro spettacolo, Adriano in Siria con gli intermezzi Livietta e Tracollo, che io non ho visto, e mi dispiace molto, per ragioni di orario: non si possono iniziare alle 21 opere che durano più di quattro ore (il barocco ha bisogno di gente sveglia) e rimettere le persone non residenti e non alloggiate in loco alla guida della propria auto a notte inoltrata. C’è tanto bene la domenica pomeriggio per queste operazioni…………..
Molto originale e funzionale il nuovo allestimento scenico di Benito Leonori. La chiesa a pianta centrale ospita il pubblico, in palcoscenico è disposta l’orchestra dietro un reticolato di corde e foglie, i personaggi agiscono in tutti gli spazi possibili e inimmaginabili, in palcoscenico, in platea, negli spazi laterali divisi da tende di corda (in quello a destra si vede Agata a mollo in una tinozza), dietro porte che si aprono intorno alla platea e nei terrazzini del piano superiore della chiesa, niente arredi, se non quattro sedie, ma quanta abilità a far sembrare pieno un palcoscenico praticamente inesistente e a coinvolgere il pubblico in un carosello di apparizioni, in cui le luci hanno ampio gioco (regia scherzosa con immagini anche in controluce e luci di Michal Znaniecki, costumi di Klaudia Koniecki). Spettacolo ben fatto e molto interessante. E sicuramente sarà stato bellissimo ed interessantissimo anche l’altro spettacolo, Adriano in Siria con gli intermezzi Livietta e Tracollo, che io non ho visto, e mi dispiace molto, per ragioni di orario: non si possono iniziare alle 21 opere che durano più di quattro ore (il barocco ha bisogno di gente sveglia) e rimettere le persone non residenti e non alloggiate in loco alla guida della propria auto a notte inoltrata. C’è tanto bene la domenica pomeriggio per queste operazioni…………..
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