Roberta Pedrotti
Si chiude con un grande successo la stagione lirica 2010 del teatro Grande di Brescia, la stagione del bicentenario e della svolta, l’ultima organizzata dalla vecchia deputazione sotto la direzione artistica di Umberto Fanni e la prima ad andare in scena sotto l’egida della neonata fondazione (i cui orizzonti saranno meglio definiti nell’ambito dell’attesa conferenza stampa di presentazione del nuovo sovrintendente, Umberto Angelini). Prima della consueta coda consacrata al balletto, in gennaio, con il Lago dei cigni, è La traviata a suggellare un cartellone premiato da un tutto esaurito pressoché costante e da un’attentissima partecipazione di pubblico. Pur con i dovuti, inevitabili, distinguo del caso non possiamo non dirci soddisfatti del complesso dell’offerta operistica del Circuito Lirico Lombardo, che ha lavorato con serietà e onestà con risultati spesso lusinghieri. In questo caso la carta vincente era costituita dalla messa in scena curata da Andrea Cigni (regia), Dario Gessati (scene), Agnese Rabatti (costumi), Fiammetta Baldiserri (luci) e Giovanni Di Cicco (coreografia). Nulla di particolarmente nuovo per un’opera nella quale pochissimi sono effettivamente riusciti a dire qualcosa di veramente inedito, anzi, oseremmo dire uno solo: Willy Decker. È peraltro evidente che Cigni ammiri Decker e abbia ben presente la sua produzione salisburghese, tuttavia non ne fa un modello, un oggetto d’imitazione; resta il punto di riferimento per talune soluzioni (lo schiaffo di Germont al figlio, la violenza parossistica di Alfredo nei confronti di Violetta nella scena della borsa, coro e comprimari come massa uniforme e inquietante, in abiti neri e maschere bianche), ma non viene mai a mancare la cifra stilistica personale e ben definita del regista italiano. Che non reinventa, ma racconta in uno spazio asettico, d’assoluta stilizzazione formale, perfino glaciale con le sue sedie in plexiglass trasparente, i teli di nylon sui beni da pignorare – e nella penombra son quasi ragnatele –, i tagli di luce simili a lame. Racconta con chiarezza un’azione che è già scritta con tale perfezione del testo e nella musica da attendere solo di prendere vita sulla scena; inserisce dettagli intelligenti come il contrasto fra “Parigi, o cara” intonato da Violetta e Alfredo in un quadrato illuminato in proscenio e l’azione dell’ufficiale giudiziario che nella penombra provvede al pignoramento degli ultimi beni della Signora delle camelie. Come fu nella realtà, quando Alphonsine Plessis, alias Marie Duplessis, spirò padrona solo del suo materasso mentre tutto quel che possedeva stava per essere messo all’asta. Pietosa, Annina, riesce a riscattare una sedia, l’unica sedia nera, dove si fermerà la Morte beffarda che già era apparsa sottile e inquietante, nelle sembianze di un androgino danzatore, nei due preludi. E mentre Violetta muore sul fondo appare un coro di maschere dalle orbite vuote che fa dell’agonia della cortigiana più celebre di Parigi una morbosa attrazione del suo carnevale: è la stessa folla che la circondava nelle feste e che poi, come raccontano Dumas e la storia, affollerà l’appartamento di Boulevard de la Madeleine, 11 per accaparrarsi un cimelio o semplicemente osservare. Moderno, chiaro, elegante. Il pubblico bresciano se ne dimostra entusiasta.
Si chiude con un grande successo la stagione lirica 2010 del teatro Grande di Brescia, la stagione del bicentenario e della svolta, l’ultima organizzata dalla vecchia deputazione sotto la direzione artistica di Umberto Fanni e la prima ad andare in scena sotto l’egida della neonata fondazione (i cui orizzonti saranno meglio definiti nell’ambito dell’attesa conferenza stampa di presentazione del nuovo sovrintendente, Umberto Angelini). Prima della consueta coda consacrata al balletto, in gennaio, con il Lago dei cigni, è La traviata a suggellare un cartellone premiato da un tutto esaurito pressoché costante e da un’attentissima partecipazione di pubblico. Pur con i dovuti, inevitabili, distinguo del caso non possiamo non dirci soddisfatti del complesso dell’offerta operistica del Circuito Lirico Lombardo, che ha lavorato con serietà e onestà con risultati spesso lusinghieri. In questo caso la carta vincente era costituita dalla messa in scena curata da Andrea Cigni (regia), Dario Gessati (scene), Agnese Rabatti (costumi), Fiammetta Baldiserri (luci) e Giovanni Di Cicco (coreografia). Nulla di particolarmente nuovo per un’opera nella quale pochissimi sono effettivamente riusciti a dire qualcosa di veramente inedito, anzi, oseremmo dire uno solo: Willy Decker. È peraltro evidente che Cigni ammiri Decker e abbia ben presente la sua produzione salisburghese, tuttavia non ne fa un modello, un oggetto d’imitazione; resta il punto di riferimento per talune soluzioni (lo schiaffo di Germont al figlio, la violenza parossistica di Alfredo nei confronti di Violetta nella scena della borsa, coro e comprimari come massa uniforme e inquietante, in abiti neri e maschere bianche), ma non viene mai a mancare la cifra stilistica personale e ben definita del regista italiano. Che non reinventa, ma racconta in uno spazio asettico, d’assoluta stilizzazione formale, perfino glaciale con le sue sedie in plexiglass trasparente, i teli di nylon sui beni da pignorare – e nella penombra son quasi ragnatele –, i tagli di luce simili a lame. Racconta con chiarezza un’azione che è già scritta con tale perfezione del testo e nella musica da attendere solo di prendere vita sulla scena; inserisce dettagli intelligenti come il contrasto fra “Parigi, o cara” intonato da Violetta e Alfredo in un quadrato illuminato in proscenio e l’azione dell’ufficiale giudiziario che nella penombra provvede al pignoramento degli ultimi beni della Signora delle camelie. Come fu nella realtà, quando Alphonsine Plessis, alias Marie Duplessis, spirò padrona solo del suo materasso mentre tutto quel che possedeva stava per essere messo all’asta. Pietosa, Annina, riesce a riscattare una sedia, l’unica sedia nera, dove si fermerà la Morte beffarda che già era apparsa sottile e inquietante, nelle sembianze di un androgino danzatore, nei due preludi. E mentre Violetta muore sul fondo appare un coro di maschere dalle orbite vuote che fa dell’agonia della cortigiana più celebre di Parigi una morbosa attrazione del suo carnevale: è la stessa folla che la circondava nelle feste e che poi, come raccontano Dumas e la storia, affollerà l’appartamento di Boulevard de la Madeleine, 11 per accaparrarsi un cimelio o semplicemente osservare. Moderno, chiaro, elegante. Il pubblico bresciano se ne dimostra entusiasta.
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