Foto: Rocco Casaluci
Anna Galletti
“Ogni opera nasce nell’inconscio … Con pazienza e vero
amore dolcemente o ribollendo la forza interiore fluisce dall’anima, guida la
mano … e si incarna nell’opera” (Vassilij Kandinskij). “Il suono giallo”, realizzato su specifica commissione del Teatro
Comunale di Bologna, è stato presentato in prima assoluta il 13 giugno scorso.
Si tratta di un’opera contemporanea, che il compositore italiano Alessandro Solbiati ha realizzato
ispirandosi liberamente all’omonimo “Der Gelbe Klang” di Vassilij Kandinskij. Kandinskij,
oltre al grande pittore che tutti conoscono come padre dell’astrattismo, è
stato anche un teorico dell’arte totale, intesa come arte che coinvolga completamente
il fruitore, che lo attiri dentro l’opera, fatta di suono, movimento e colore. Le
sue composizioni sceniche sono testi destinati al teatro quale luogo in cui può
avvenire la liberazione dell’anima tramite l’unione di questi tre elementi. Solbiati
percorre con abilità e intensità la strada indicata da Kandinskij, creando ottanta
minuti di vera emozione, per la bellezza della musica e l’uso del suono, creato
sia dagli strumenti (solo acustici) sia dalla voce. Nella sua ricerca di
raggiungere un risultato sinestetico – e si potrebbe dire anche alchemico – è
stato perfettamente accompagnato dalla bacchetta di Marco Angius, che vanta grande esperienza nella direzione della
musica contemporanea e che qui guida l’orchestra ad un’interpretazione di
grande rispetto del lirismo intrinseco all’opera. Compagni di viaggio ben integrati
al progetto sono il regista Franco Ripa
di Meana e il costumista e scenografo Gianni
Dessì. L’apporto di entrambi, autori congiuntamente del progetto scenico,
ad una creazione così complessa risulta positivo e coerente. Al buon
successo di questa prima hanno contribuito in misura non minore i cantanti,
chiamati ad un compito tutt’altro che facile, dovendo interpretare una musica
atonale e testi scarni e astratti. L’apprezzamento va in primo luogo ai solisti,
nel ruolo dei cinque giganti, figure che, come spiega lo stesso Solbiati,
evolvono da uno stato quasi vegetale a uno stato sempre più vivente, “fino a
sublimare lo stato individuale in una superiore unità ideale”: Alda Caiello (soprano), Laura Catrani (mezzosoprano), Paolo Antognetti (tenore), Maurizio Leoni (baritono), Nicholas Isherwood (basso). La stessa
valutazione positiva deve essere riservata al Coro del Teatro Comunale, che – ripartito in “piccolo coro” e
“grande coro” –, è stato ugualmente ottimo protagonista
di questo componimento in cui non ci sono parti minori o prevalenti e dove
tutti gli elementi, vocali, strumentali e scenici sono da considerare parimenti
importanti. Gli allievi della Scuola di Teatro di Bologna di Alessandra Galante Garrone
hanno portato con sicurezza ed efficacia sulla scena la corporeità necessaria a
dare vita e sostanza a questa nuova creazione. Resta, tuttavia, da chiedersi se “Il suono
giallo” possa essere considerato un’opera lirica, nel significato tradizionale
dell’espressione. Forse a questa domanda non si può rispondere oggi, ma solo
con il tempo. La mancanza di una vera narrazione, con un inizio, una fine e le
sue connessioni interne, e la possibilità, in fondo, di dare alla musica e agli
scarni testi di Kandinskij significati e rappresentazioni completamente
diversi, impediscono di percepire il senso di unità proprio dell’opera.
Probabilmente, la definizione generica di teatro musicale è più coerente
rispetto al tipo di proposta presentata. Oppure si tratta soltanto di staccarsi
dalle definizioni e dalle etichette, limitandosi ad apprezzare autori e
realizzatori di questo interessante esperimento per ciò che è, comunque lo si
voglia definire.
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