Foto: Ramella&Giannese - Fondazione Teatro Regio di Torino
Renzo Bellardone
La
solenne ouverture dai colori organistici, così come al finale, tratteggia
immediatamente la tragedia, il visionario susseguirsi degli avvenimenti. La
bacchetta di Gianadrea Noseda, con
la consueta rispettosa umiltà con cui affronta tutte le partiture, carpisce ed affascina per temperamento,
delicata sensibilità ed irruente passione; non ha avuto cali ed ha reso
trasparente ed intellegibile anche le parti musicali meno vivaci; un vero gigante della direzione orchestrale
dei nostri tempi, che catapultando l’ascoltatore nell’infinito mondo delle
emozioni riesce a far vivere ed amare la musica incondizionatamente. In
locandina si legge “Regia, scene, costumi, coreografia e luci di Stefano Poda” e pur conoscendo ed
apprezzando il complesso e minuzioso lavoro svolto dall’eclettico Poda, ogni
volta ci si chiede: come ci riesce? E questa volta ci si è posto lo stesso
quesito, ma non prima, ma dopo aver visto il folgorante e mirabolante
spettacolo che ha nesso in scena. Con l’assistenza di Paolo Cei Giani ha creato una ruota gigantesca a simboleggiare il
cerchio della vita e questo è rimasto l’unico e costante elemento della scena.
Lo stupore deriva dall’incredibile efficacia che una scena pressoché fissa, mutevole solo nei movimenti del cerchio con
simbolici inserimenti quali due tronchi bianchi e contorti che tendono i rami
l’un l’altro (come gli umani tendono le braccia alla ricerca di conforto), riesca a proiettare sul pubblico attonito ed
affascinato. Le luci sono l’elemento chiave che il gigante della messa in scena
sa dosare minuziosamente, come i movimenti scenici, ‘sulla nota’: nulla avviene
per caso o scompostamente, ma con raffinata eleganza in simbiosi con il fluttuare delle note. I colori, dal grigio
dominante passano al ramato ed all’ottone, fino ad esplodere nel rosso dei
costumi o nel colore delle nudità. Il coro ed i figuranti sono in continua
azione con movimenti coreografici intrisi
di Butoh che in una sorta di danza tenebrosa
alternano movimenti lenti con
frenetiche convulsioni a sinuosità evocative. Faust
è il raffinato tenore Charles Castronovo,
che con buona tenuta della scena è stato particolarmente apprezzato nel duetto
con Margherita e nel terzetto anche con Mefistofele, anche grazie al gradevole
timbro. Ildar Abdrazakov offre una eccellente interpretazione
di Mefistofele con i suoi colori bruniti e poeticamente arrotondati e con il tono
autorevole e grottescamente ingannatore
che il ruolo richiede. Margherita trova nel soprano Irina Lungu, la dolcezza vocale e l’espressione dolce e sofferta
della vittima predestinata. Facile negli acuti e con costante limpidezza sa
emozionare e rendere partecipi. Vasilij Ladjuk, impersona Valentin,fratello di Margherita e
soldato con impeto ed autorevolezza, con colore caldo ed appasionato. Ketevan
Kemoklidze è l’apprezzata mezzosoprano che da voce a Siebel; Samantha Korbey interpreta
efficacemente il ruolo di Marthe, mentre Paolo
Maria Orecchia è un applaudito Wagner. Il
coro diretto da Caudio Fenoglio è ogni volta più apprezzato oltre che
localmente, anche scenicamente ed in questa produzione di movimenti scenici ce
ne sono e parecchi; le voci sono sempre così bene amalgamate da incantarsi
all’ascolto. Produzione
di assoluto rilievo che va ad incastonarsi tra le migliori del Teatro Regio stesso
ancorchè tra le migliori in assoluto viste nel panorama del teatro d’opera
contemporaneo. E per tornare a parlare di geni certamente un incondizionato
applauso va a Gounot che ha saputo alternare marce, valzer, tristezza e
risolutezza in un caleidoscopico amalgama di emozionanti colori. La
musica vince sempre.
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