Foto: Ramella&Giannese
Renzo Bellardone
Camille
Saint-Saëns dichiarò “senza Liszt, Samson
non esisterebbe” e se lo dichiarò l’autore stesso c’è da crederci, ma influenze
lisztiane o no, ‘Samson et Dalila’ resta una imponente composizione che
certamente incanta chi conosceva Saint-Saëns solo per il caleidoscopico ‘Carnaval des animaux’, per i sei preludi e fughe per organo piuttosto
che per i crescendo della Danse macabre. Nella realizzazione vista il 26 novembre al
Regio di Torino bisogna essere altezzosamente supponenti per individuare punti
di debolezza, infatti l’insieme è ai massimi livelli: risulta addirittura arduo
dare delle priorità nel raccontarla, tanto da voler seguire la scaletta
proposta dalla locandina. Dalila:
Daniela Barcellona ai vertici
timbrici e comunicativi risulta suadente e poetica nel canto d’amore e
spregiudicata nella condanna; la sua presenza in scena è sempre una garanzia
con l’unico neo che –tristemente per il pubblico – le sue apparizioni sui
palchi italiani sono davvero poche (ricordo però la splendida interpretazione
ne ‘I troiani’ alla Scala). Nella splendida dimora ricca di cristalli rilucenti,
Dalila/Barcellona si muove da regina, affascinando per il bel colore e la gradevolezza vocale. Sansone
è interpretato dall’inossidabile Gregory
Kunde (protagonista anche lui nei ‘Troiani’ alla Scala). Le sue prestazioni
vocali sono ormai mito e riferimento.
Voce sempre ferma in una linea di canto inalterata: il tono drammatico viene
esaltato dalle profonde colorazioni brunite che sfiorano il baritonale. Claudio Sgura, profondo baritono, interpreta Dagon con
voce magnificamente possente e
timbricamente rilevante; Sgura, completamente nel ruolo, riesce a trasmettere
veramente molto all’ascolto. Notevoli Andrea
Comelli, Sulkhan Jaiani, Roberto Guenno, Cullen Gandy e Lorenzo
Battagion, nei rispettivi ruoli. Pinchas Steiberg in questa armoniosissima quanto
autorevole direzione, diventa estrattore
di note belle e colorate. In piena sintonia con i professori in buca trae
momenti di intensa seppur soffusa poesia, quanto di sanguigno furore. Sempre ai
massimi livelli il coro che fin dalla prima scena diventa protagonista: il coro
è diretto da Claudio Fenoglio La
globale messa in scena viene firmata da un ispirato Hugo de Ana che utilizza le masse non per riempire il palcoscenico,
come talvolta si avverte, ma per creare situazioni di forte impatto come nella
scena finale della distruzione. I colori, essenza della scenografia, sono un
‘piazzato’ grigio metallico e rilucente, contaminato con prepotente sagacia di
blu, azzurro e colori moderni quali il lilla stemperato di violet. Le luci
sapienti di Vinicio Cheli fanno
brillare lance e spade oltre che vibranti rilucenti cristalli. Una nota di
forte marcatura va sia alle contemporanee proiezioni Video di Sergio Metalli che mantengono costante
il movimento scenico, quanto alle coreografie di Leda Lojodice che non teme i nudi in scena, ma che li utilizza
artisticamente e con grande eleganza. La
Musica vince sempre.
Nota
fuor di scena: abitualmente ed ancor più quando ho rapporti di conoscenza (in
questo caso di sincera amicizia e stima
reciproca) a fine rappresentazione scendo nei camerini per un saluto agli
artisti; in questo caso mi è stato impossibile in quanto era talmente
lunga la coda in attesa, che il teatro
ha deciso di revocarne la possibilità, indirizzando all’uscita artisti. Per
inderogabili impegni di li a qualche ora, ho dovuto mio malgrado rinunciare ad
una prevedibile lunghissima attesa.
Credo sia la prima volta che mi succede ! Questo a dimostrazione di quanto il
pubblico abbia apprezzato e quanto fossero veri gli applausi tributati.
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