Foto: Brescia&Amisano
Massimo Viazzo
E’ la prima volta che la versione francese del capolavoro gluckiano
approda alla Scala. In Orphée et
Euridice rispetto all’originale in italiano del 1762, Gluck affida, dodici
anni dopo, il ruolo protagonistico alla voce di tenore (per la precisione di haute-contre), aggiungendo anche alcuni
brani, in particolare un paio di bellissime arie per Orphée e per Amour, e
diversi numeri di danza, come da tradizione d’Oltralpe, oltre che intervenendo sull’orchestrazione. Lo spettacolo, curato da Hofesh Shechter e John Fulljames e proveniente
dal Covent Garden di Londra, è parso il punto debole della serata: orchestra in
palco che oscillava su più livelli e pochi elementi in una scenario sobrio, quasi
da allestimento semi-scenico, poco evocativo e senza magia, volto
presumibilmente soprattutto ad eternare la vicenda mitica. Molto ben congeniate,
invece, le coreografie che avevano un che di ancestrale e brutale, curate dallo
stesso Shechter e affidate alla propria compagnia di danza. Il tutto ben coordinato
dalla bacchetta attenta e drammaticamente teatrale di Michele Mariotti, un
direttore che conosce bene il canto e sa anche accompagnarlo con giudizio.
Trionfatore della serata è stato comunque il protagonista, Juan
Diego Flórez. Il tenore peruviano ha saputo rendere il canto di Orfeo come meglio oggi non si
potrebbe, dal punto di vista interpretativo, con linee flessuose e morbidissime
alternate ad energia e vigore, e dal punto di vista tecnico con suoni sempre
pieni e proiettati anche negli acuti, e una coloratura assolutamente
impeccabile (L’espoir renait dans mon
âme). Accanto a lui Christiane Karg (Euridice) e Fatma Said (Amour) non
hanno fatto la figura delle comparse ma si sono imposte per timbrica lucente e spontaneità
di fraseggio. Il Coro del Teatro alla Scala, nonostante qualche piccolo
sfasamento, ha contribuito non poco alla riuscita di questa recita.
No comments:
Post a Comment
Note: Only a member of this blog may post a comment.