Saturday, September 19, 2009

Aci, Galatea e Polifemo - Teatro Regio di Torino


Foto: Sara Mingardo (Galatea) e Cristina Banchetti (mimo)
Credito: Ramella & Giannese - Fondazione Teatro Regio di Torino

Massimo Viazzo

Aci, Galatea e Polifemo non è un’opera. Si tratta di una serenata a tre - un vero gioiello (il fatto che tutti i brani che la compongono siano stati riutilizzati dal «caro Sassone» in opere successive è una garanzia di qualità) - che fu composta a Napoli nel 1708 da un giovanissimo Händel per festeggiare, probabilmente, le nozze del Duca d’Alvito e Donna Beatrice Sanseverino. Un lavoro celebrativo, quindi, nello stile della favola pastorale tipico della poetica dell’Arcadia, accademia letteraria allora in ascesa. Drammatizzare una trama così esile (un triangolo amoroso, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, costituito dai due giovani innamorati Aci e Galatea contrastati dal rozzo Polifemo) rappresentava per Davide Livermore una vera sfida. Attualizzare il plot al giorno d’oggi è facilissimo. Livermore non si è limitato a raccontare una storia plausibile, ma compiendo un’intelligente operazione di «doppio sdoppiamento» è riuscito ad amplificare le affettività presenti nel testo musicale costruendo un interessante gioco di relazioni tra «doppi» umani, resi con bravura da tre mimi-attori, e «doppi» provenienti dal mondo animale (scelti in base a strette citazioni librettistiche) e precisamente un’aquila (Aci), una farfalla (Galatea) e un serpente (Polifemo), visualizzati fascinosamente su quattro schermi, unici sbocchi visivi in grado di mettere in comunicazione l’interno della villa settecentesca diroccata e sghemba (in cui Livermore, curatore anche della scenografia, ha ambientato la vicenda) e la rigogliosa natura circostante. Una lettura stimolante quindi, che ha trovato in Antonio Florio il giusto timoniere. Florio ha concertato con precisione e attenzione costante al respiro della pagina händeliana. Il fraseggio non è mai parso frenetico, né affannato e anche se La Cappella della Pietà de’ Turchini non è stata esente da pecche (le trombe, soprattutto) si può dire che nel complesso si sia trattata di una esecuzione convincente, mossa e scorrevole, mai secca o fredda. Tra le voci la palma del migliore spetta senz’altro a Sara Mingardo. Il contralto veneziano ha cantato con proprietà stilistica, timbro vellutato e consapevolezza dello stile patetico. La sua Galatea ci ha commosso e toccato nel profondo. Ruth Rosique ha sfoggiato una discreta coloratura anche se non è sempre riuscita a controllare l’emissione. In difficoltà, invece, Antonio Abete, un Polifemo di timbro troppo metallico, non in grado di rendere al meglio le sfaccettature malinconiche e dolenti connaturate al personaggio. Le sue agilità un po’ imprecise e una resa del legato insufficiente non gli hanno consentito una messa a fuoco ottimale dell’impervio ruolo.


VERSIÓN EN ESPAÑOL


Aci, Galatea e Polifemo no es una opera. Se trata de una serenata a tre- una verdadera joya (el hecho que todas las piezas que la componen fueron reutilizados por el en operas sucesivas es una garantia de calidad).- que fue compuesta en Napoles en 1708 por un jovencísimo Händel para festejar, probablemente, las bodas del Duque de Alvito y Doña Beatriz Sanseverino. Una obra de celebración, por lo tanto, en el estilo de la fabula pastoral típica de la poética de la Arcadia, academia literaria en aquel entonces en ascenso. Dramatizar una trama tan endeble (un triangulo amoroso, obtenido de la metamorfosis de Ovidio, formado por dos jóvenes enamorados Aci y Galatea contrastando con el áspero Polifemo) representaba para Davide Livermore un verdadero reto. Actualizar el plot al día de hoy era muy fácil, y Livermore no se ha limitado a contar una historia plausible, sino que ha completado una operación inteligente de «doppio sdoppiamento» o doble separación, y ha tenido éxito amplificando la afectividad presente en el texto musical construyendo un interesante juego de relaciones entre humanos, hecho con bravura por tres mimos-actores, y provenientes del mundo animal (elegidos en base a estrictas citas del libreto) y precisamente un águila (Aci), una mariposa (Galatea) y una serpiente (Polifemo), visualizados de manera encantadora sobre cuatro pantallas, con una única abertura visual, al grado de comunicar el interior de la villa del siglo dieciocho destruida e inclinada (en la cual Livermore, encargado también de la escenografía, ambientó el evento) con la exuberante naturaleza circundante. Una lectura estimulante que ha encontró en Antonio Florio el justo conductor. Florio concertó con precisión y constante atención al respiro de la pagina händeliana. El fraseo nunca pareció frenético ni sin respiración y aunque La Cappella della Pietà de’ Turchini no estuvo exenta de fallas (las trompetas sobretodo) se puede decir que en conjunto se trató de una ejecución convincente, movida y fluida, y nunca seca o fría. Entre las voces la palma del mejor se debió a Sara Mingardo. La contralto veneciana cantó con propiedad estilística, timbre aterciopelado y conciencia del estilo patético o penoso. Su Galatea conmovió y tocó en lo más profundo. Ruth Rosique mostró una discreta coloratura aunque no siempre tuvo éxito para contralar la emisión. A su vez, con dificultades Antonio Abete, fue un Polifemo de timbre demasiado metálico, no al grado hacer la mejor faceta melancólica y doliente inherente al personaje. Su agilidad un poco imprecisa y hecha con legato insuficiente no le ha permitido un óptimo despliegue a fuego del complicado personaje.

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