Crédito: Studio Amati Bacciardi – Rossini Opera Festival
Roberta Pedrotti
Come avvenne lo scorso anno per il grande concerto di Joyce Didonato in memoria di Maria Malibran, il concerto d’occasione con primadonna protagonista si rivela l’appuntamento forse più interessante e soddisfacente del Festival rossiniano. L’occasione, in questo caso, è costituita dal bicentenario dalla morte di Franz Josef Haydn e l’omaggio a Pesaro, patria del “tedeschino” Gioachino, è dovuto; la primadonna è una sorprendente Ewa Podles, che si presenta in forma straordinaria e con un’evidente, fortissima motivazione – lei, belcantista della gloriosa generazione nata attorno alla metà del secolo scorso, al ROF era apparsa tardivamente solo nel 2001. Il programma le affida la cantata Arianna a Naxos nell’elaborazione orchestrale curata da Ernst Frank (1847-1889) e il contralto polacco stupisce subito per la vocalità intatta ed imponente, il fraseggio scolpito, la coloratura granitica, l’estensione ampia quanto salda. Ogni nota è centrata esattamente, senza portamenti, senza oscillazioni e a dispetto del tempo Ewa Podles si presenta ancora, in quest’occasione, come un monumento del belcanto, della coloratura di forza, della sana e rigogliosa espansione d’un mezzo vocale finalmente ampio, proiettato e brunito. Nello stesso bronzo sono temprati i gravi più profondi come gli acuti e, dopo l’accento coturnato della sventurata principessa cretese, vengono immediatamente a completare il ritratto dell’artista i due bis rossiniani, Cruda sorte dall’Italiana in Algeri e la Canzonetta spagnola. L’accento è estroverso, divertito, non seduce con tornitura latina, ma conquista con irresistibile energia e, difatti, il pubblico esplode in una tonante standing ovation; come accendini nei concerti degli anni ’70 s’illuminano gli schermi blu dei telefonini per immortalare la diva. Il festeggiato, però, è Haydn, che a due secoli dalla morte continua a presentarsi come faro imprescindibile nella storia della musica. Un faro cui, al di là degli aneddoti scolastici, Rossini guardò indubbiamente con cura meticolosa e che a Pesaro trova degnissima celebrazione, oltre che nella cantata, in due sinfonie affidate all’orchestra di Bolzano e Trento che assieme al compositore eponimo festeggia anche i suoi cinquant’anni di attività. Il concerto si apre con la Sinfonia numero 27 in Sol maggiore e si chiude con quel capolavoro che è la Sinfonia numero 88, nella medesima tonalità, ovvero due lavori che, a distanza di ventisei anni l’uno dall’altro, rappresentano l’inizio e la fine del soggiorno a Esterhàza. Il complesso trento-altoatesino tiene fede al suo nome e, già valente in Rossini, dà il meglio di sé: pulizia di suono e di fraseggio, precisione e brillantezza nel definire armonie, canoni, intarsi di forme classiche e spunti polifonici, come negli ultimi due movimenti della 88, trascinanti, entusiasmanti ma anche musicalmente illuminanti. La presenza di un’orchestra di formazione e repertorio prevalentemente classico sinfonico si è rivelato per il Festival una scommessa vincente per poter porre in diversa luce la scrittura strumentale del genio pesarese e se in troppe occasioni è mancata una bacchetta che cogliesse al meglio quest’opportunità, abbiamo trovato nel polacco Lukasz Borowicz – con tutta probabilità collaboratore di fiducia della Podles – la persona giusta per condurre al successo l’omaggio ad Haydn, alla diva e all’orchestra, che nel celebrare il genio austriaco, celebrano anche il proprio talento. L’aria già calda di una mattina di mezz’agosto a Pesaro si fa così incandescente d’applausi per uno degli appuntamenti più felici di questo trentesimo Rossini Opera Festival.
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