Foto: Alex Esposito, Kate Aldrich, Gregory Kunde
Credito: Studio Amati Bacciardi- Rossini Opera Festival
Giosetta Guerra
L’opera che ha aperto il R.O. F. 2009, Zelmira nella versione parigina del 1826 (anno di nascita del tenore Tiberini) in cui Rossini aggiunse un rondó finale per far brillare la protagonista Giuditta Pasta. Nell’Adriatic Arena rinnovata ed ampliata, dove l’opera è stata allestita, l’ascolto musicale è stato un po’ inficiato da un certo eco o riverbero dei suoni. La direzione musicale di Roberto Abbado, alla guida dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, rispetta la descrittività della bellissima musica, che aderisce alle situazioni, per cui la sentiamo ritmata e brillante sotto l’aria di Antenore “Che vidi amici”, drammatica nella presentazione del vecchio Polidoro e poi morbida nell’incontro del vecchio con la figlia Zelmira, in crescendo nel terzetto Polidoro-Zelmira-Emma, cadenzata e leggera nel coro dei guerrieri “S‘intessano gli allori”, troppo presente nella cavatina di Ilo “Terra amica”, molto espressiva con fremiti d’orchestra che a volte tace per lasciare scoperto il dialogo nel duetto Ilo-Zelmira “A che quei tronchi accenti?”, frizzante o piena di delicatezze, con la scansione ritmica e i tempi dilatati dell’accompagnamento bandistico dei funerali nell’ingresso dei sacerdoti al tempio, delicatissima nel patetico duettino dell’addio della madre al figlioletto “Perché mi guardi e piangi” con la voce dell’arpa e dell’oboe, gloriosa per l’incoronazione di Antenore, col ghigno di Rigoletto nel tentato omicidio di Ilo, delicata (con arpa e fiati) nell’aria di Emma “Ciel pietoso”, triste nella pagina orchestrale (con arcate dei violoncelli che ricordano il Don Carlo e pizzicati dei violini per gli sbalzi vocali) nel recitativo di Ilo “A che difendi una sleale”, piangente sotto la disperazione di Zelmira nel recitativo “Chi sciolse i lacci miei?”, agitata nel Finale secondo. L’edizione di quest’anno va ricordata più per l’aspetto vocale che per quello scenico. Tenori come Gregory Kunde e Juan Diego Flórez hanno sviscerato i vari aspetti del belcantismo rossiniano con una padronanza ed una precisione da manuale. Il baritenore Gregory Kunde esordisce con voce bella e sicura in ogni registro, in grado di lanciarsi in acuti e sovracuti decisi e luminosi (“Che vidi! Amici!”), acuti la cui bellezza viene inficiata da un’emissione basata sulla forza e non sulla flessibilità nell’aria “Mentre qual fera ingorda”, ma poi tutto procede a meraviglia, l’impeto vocale s’interseca col canto di sbalzo e Kunde brilla per classe, padronanza scenica, stile di canto, dizione chiara, squillo e volume vocale. Il tenore Juan Diego Florez, belcantista doc, tiene un canto morbido e calibrato, ma anche infiorettato di abbellimenti, di strepitose scale ascendenti e di impennate acute (cavatina “Terra amica”), ha soavità d’accento e di emissione rivolgendosi alla sposa nel duetto molto aereo e nel contempo sbalzato e virtuosistico “A che quei tronchi accenti?”, duetto che diventa un concertato con l’aggiunta del coro. Strepitoso in tutto il suo splendore di funambolo e di amoroso nel recitativo “A che difendi una sleale” e nel duetto molto sbalzato con Polidoro “In estasi di gioia”, per la naturalezza d’emissione e la facilità di toccare tutti i registri. La cantante americana Kate Aldrich (Zelmira) è una virtuosa che si esprime con intensità nei momenti lirici. La voce è indefinibile, può essere di mezzosoprano acuto o di bel soprano con gravi densi e acuti svettanti e pieni (recitativo con Polidoro “Ma m’illude il desio”), il suono è denso anche nel patetico recitativo “Emma fedel” e morbido del dettino “Perché mi guardi e piangi” che è quasi una nenia rivolta al figlio, nel recitativo “Chi sciolse i lacci miei?” esce la voce robusta estesa e vibrante del mezzosoprano coi centri bruniti Nel terzetto Zelmira-Polidoro-Emma “Soave conforto”, accanto ai gorgheggi della Aldrich, svetta Marianna Pizzolato (Emma), un bravo mezzosoprano dal suono pieno e corposo che fa leva sulla morbidezza del canto, modula bene e fa uso della messa di voce nella delicata aria “Ciel pietoso”, ma nella cabaletta gli acuti sono un po’ gridati. Mirco Palazzi (Leucippo), di ottima presenza vocale e scenica, esibisce voce di basso dal bel colore, ampia e robusta, dal suono denso e corposo. Il basso Alex Esposito (il vecchio Polidoro dall’aspetto cadaverico, calvo, barba bianca e poveramente vestito con un lungo pastrano marrone) ha un ruolo abbastanza difficile, perché richiede grandi sbalzi dall’acuto al grave. La sua voce, estesa e flessibile, grazie ad un preciso stile di canto, si piega a morbidezze, s’impenna in slanci drammatici e sostiene lunghi fiati (cavatina “Ah! Già trascorse il dì”), non è molto scura, sì che a volte il registro sembra più da baritono, come si evidenzia anche nel primo recitativo con Zelmira dove la tessitura è piuttosto alta. Savio Sperandio è un corretto Gran Sacerdote, vestito di rosso. Francisco Brito un discreto Eacide. Il coro del Teatro Comunale di Bologna, sempre diviso per sesso, ha una presenza rilevante. Il coro femminile tiene un magnifico canto sul fiato (“Pian piano inoltrisi”). Maestro del coro Paolo Vero. Per quanto concerne l’allestimento non voglio spendere tante parole, sono un po’ stanca di dover passare gran parte della serata all’opera a domandarmi il significato di certe scenografie, per me l’opera è musica e canto e la scenografia deve favorire l’ascolto non disturbarlo. Mi limiterò pertanto a dire che l’allestimento di Giorgio Barbiero Corsetti (regista e scenografo) e di Cristian Taraborrelli (scenografo) è cervellotico ed ermetico, seppur originale ed immaginifico, crea molto disturbo all’ascolto e ci fa arzigogolare il cervello nella ricerca dei significati oscuri, tanto più che nel libretto di sala non c’è una guida alla lettura della regia, che è statica, mentre la vicenda richiede azione. L’ambientazione scura (luci di Gianluca Cappelletti) e l’omologazione dei costumi di foggia moderna (creati da Cristian Taraborrelli e Angela Buscemi) rende difficile la distinzione dei personaggi. Risultato: il pubblico l’ha buato.
VERSION EN ESPAÑOL
Zelmira es la opera que abrió el Rossini Opera Festival de 2009, en la versión parisina de 1826 en la que Rossini agregó un rondo final para hacer brillar a la protagonista Giuditta Pasta. En la renovada y ampliada Adriatic Arena, donde se representó la opera, lo que se escucho musicalmente fue un poco afectado por un cierto eco y reverberación en el sonido. Al frente de la Orquesta del Teatro Comunal de Bolonia, Roberto Abbado respetó la descripción de la bellísima música que se adhería a cada situación, por lo que se escuchó rítmica y brillante en el aria de Antenore “Che vidi amici”, dramática en la presentación del viejo Polidoro, y suave en el encuentro del viejo con la hija Zelmira, in crescendo en el terceto Polidoro-Zelmira-Emma, y después brillante, delicada, gloriosa, triste, melancólica y agitada. La versión de este año será recordada mas por el aspecto vocal que por el escénico. Los tenores. Gregory Kunde y Juan Diego Flórez mostraron varios aspectos del belcanto rossiniano con autoridad y una precisión de manual. Kunde se presentó con una hermosa voz, segura en cada registro, al grado de lanzarse a decididos y luminosos agudos y sobreagudos, (“Che vidi! Amici!”), brillando por autoridad escénica y estilo de canto, clase dicción clara, squillo y volumen vocal. Por su parte, el tenor Flórez, es un resonante belcantista, un virtuoso en todo su esplendor por la naturaleza de emisión y la facilidad de tocar todos los registros. Mostrando un timbre suave y calibrado, de resonantes escalas ascendentes y agudos (como en la cavatina “Terra amica”).La estadounidense Kate Aldrich (Zelmira) es una virtuosa que se expresó con intensidad en los momentos más liricos. Su voz es indefinida, ya que puede ser de mezzosprano aguda o de bel soprano con densos y sobresalientes graves, y plenos agudos. Marianna Pizzolato como Emma, fue una buena mezzosoprano de sonido pleno y corpóreo, que eleva la suavidad del canto, modula bien y hace uso de la media voz. Mirco Palazzi (Leucippo), mostró una óptima presencia vocal y escénica, exhibiendo voz de bajo de agradable color, amplio y robusto. El bajo Alex Esposito (el viejo Polidoro), calvo, con barba blanca y mal vestido tuvo un papel bastante difícil, porque requirió de grandes cambios del agudo al grave. Su voz es flexible gracias a un preciso estilo de canto. Savio Sperandio fue un correcto Gran Sacerdote, Francisco Brito un discreto Eacide. El coro del Teatro Comunal de Bolonia, dirigido por Paolo Vero, dividido por genero, tuvo una presencia relevante, y la parte femenina un magnifico canto “sul fiato”. La producción de Giorgio Barbiero Corsetti (director y escenógrafo) fue demasiado elaborada y hermética. Aun siendo original e imaginaria creó mucho distracción a lo que se escuchaba. La ambientación oscura y la actualización con vestuarios modernos, hicieron difícil la distinción de cada personaje. El resultado, fue el abucheo del público.
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