Massimo Viazzo
Dal punto di vista visivo questi Contes d’Hoffmann sono piaciuti moltissimo. Nicolas Joël (la sua regia è stata ripresa per l’occasione da Stephane Roche) li ha ambientati al tempo della 1° Esposizione Universale londinese. Un sipario dipinto su cui campeggiava la scritta Crystal Palace -il nome della costruzione di vetro e metallo eretta in Hyde Park nel 1851 e qui riprodotta con eleganza dalla scenografo Ezio Frigero- e sul quale si potevano anche ammirare, sempre dipinti, cani ammaestrati, donne serpente e persino un enorme King Kong, faceva da trait d’union, alzandosi ed abbassandosi rispettivamente all’inizio e alla fine delle scene. Tutti ci siamo così sentiti parte di questa straordinaria Fiera. Oltre ad Olympia, la bambola meccanica (esilarante la sua “camminata” resa scorrevole da un carrello sottostante), si potevano così ammirare altri oggetti meravigliosi. Sbalorditiva ad esempio l’orchestrina –un’arpa, un contrabbasso e una batteria- perfettamente automatizzata con tanto di arti e mani semoventi, che ha accompagnato la tragica fine di Antonia. All’opposto non ha convinto la bacchetta un po’ anonima di Emmanuel Villaume. La sua è stata una direzione inficiata da qualche pesantezza, attacchi imprecisi e scarsa teatralità. Il capolavoro di Offenbach è così scivolato via senza lasciare una traccia profonda. In questo secondo cast, venendo ora ai cantanti, vorrei segnalare l’Hoffmann morbido, delicato, intimo di Marc Laho, non sempre a fuoco in alto, ma comunque espressivo. Estroversa, disinvolta sulla scena e vocalmente Manuela Custer. L’eclettico mezzosoprano italiano ha tratteggiato un Nicklausse affabile, simpatico, ma commosso (ultima scena, nei panni della Musa). Diabolico, luciferino, caustico invece Simone Alberghini che ha interpretato con grande consapevolezza e sicurezza vocale i quattro ruoli “malvagi” dell’opera, Lindorf, Coppélius, Docteur Miracle e Dapertutto. La sua è stata una prova teatralmente davvero maiuscola. Dalle “tre donne” di Hoffmann giungono invece note più contrastanti. L’Olympia simpaticissima di Anna Skibinsky, sicura nel registro sovracuto, ha mostrato qualche incertezza nell’intonazione e una certa fretta nell’affrontare la coloratura. Deludente poi l’Antonia di Raffaella Angeletti (unico elemento facente parte anche del primo cast). Poco calore, una linea di canto un po’ scomposta, qualche problema di appoggio non le hanno permesso di delineare un personaggio credibile e coinvolgente. Un po’ anonima anche la Giulietta di Patrizia Orciani. Tra i ruoli secondari segnalo infine la buona prova di Alessandro Guerzoni, un Crespel dall’accento nobile e commosso, lo Spalanzani straniato e stordito di Emanuele Giannino, e Carlo Bosi che ha impersonato i ruoli buffi di Cochenille, Frantz e Pitichinaccio con una voce ben sonora nei centri. Buon successo di publico.
Dal punto di vista visivo questi Contes d’Hoffmann sono piaciuti moltissimo. Nicolas Joël (la sua regia è stata ripresa per l’occasione da Stephane Roche) li ha ambientati al tempo della 1° Esposizione Universale londinese. Un sipario dipinto su cui campeggiava la scritta Crystal Palace -il nome della costruzione di vetro e metallo eretta in Hyde Park nel 1851 e qui riprodotta con eleganza dalla scenografo Ezio Frigero- e sul quale si potevano anche ammirare, sempre dipinti, cani ammaestrati, donne serpente e persino un enorme King Kong, faceva da trait d’union, alzandosi ed abbassandosi rispettivamente all’inizio e alla fine delle scene. Tutti ci siamo così sentiti parte di questa straordinaria Fiera. Oltre ad Olympia, la bambola meccanica (esilarante la sua “camminata” resa scorrevole da un carrello sottostante), si potevano così ammirare altri oggetti meravigliosi. Sbalorditiva ad esempio l’orchestrina –un’arpa, un contrabbasso e una batteria- perfettamente automatizzata con tanto di arti e mani semoventi, che ha accompagnato la tragica fine di Antonia. All’opposto non ha convinto la bacchetta un po’ anonima di Emmanuel Villaume. La sua è stata una direzione inficiata da qualche pesantezza, attacchi imprecisi e scarsa teatralità. Il capolavoro di Offenbach è così scivolato via senza lasciare una traccia profonda. In questo secondo cast, venendo ora ai cantanti, vorrei segnalare l’Hoffmann morbido, delicato, intimo di Marc Laho, non sempre a fuoco in alto, ma comunque espressivo. Estroversa, disinvolta sulla scena e vocalmente Manuela Custer. L’eclettico mezzosoprano italiano ha tratteggiato un Nicklausse affabile, simpatico, ma commosso (ultima scena, nei panni della Musa). Diabolico, luciferino, caustico invece Simone Alberghini che ha interpretato con grande consapevolezza e sicurezza vocale i quattro ruoli “malvagi” dell’opera, Lindorf, Coppélius, Docteur Miracle e Dapertutto. La sua è stata una prova teatralmente davvero maiuscola. Dalle “tre donne” di Hoffmann giungono invece note più contrastanti. L’Olympia simpaticissima di Anna Skibinsky, sicura nel registro sovracuto, ha mostrato qualche incertezza nell’intonazione e una certa fretta nell’affrontare la coloratura. Deludente poi l’Antonia di Raffaella Angeletti (unico elemento facente parte anche del primo cast). Poco calore, una linea di canto un po’ scomposta, qualche problema di appoggio non le hanno permesso di delineare un personaggio credibile e coinvolgente. Un po’ anonima anche la Giulietta di Patrizia Orciani. Tra i ruoli secondari segnalo infine la buona prova di Alessandro Guerzoni, un Crespel dall’accento nobile e commosso, lo Spalanzani straniato e stordito di Emanuele Giannino, e Carlo Bosi che ha impersonato i ruoli buffi di Cochenille, Frantz e Pitichinaccio con una voce ben sonora nei centri. Buon successo di publico.
Versión en Español
Foto: Ramella & Giannese © Fondazione Teatro Regio di Torino
Massimo Viazzo
Desde el punto de vista visual, estos Cuentos de Hoffman han agradado bastante. Nicolas Joël (cuya regia fue repuesta en esta ocasión por Stephane Roche) la ambientó en el tiempo de la 1ra exposición universal londinense. Una cortina pintada en el cual resaltaba el Crystal Palace –la construcción de vidrio y metal erecta en el Hyde Park en 1851 y aquí reproducida con elegancia por el escenográfo Ezio Frigerio – y sobre la cual se podían admirar, pinturas, de perros amaestrados, mujeres serpientes y un enorme King Kong, funcionaba como trait d’union, subiendo y bajando respectivamente, al inicio y al fin de cada escena. Todos los presentes presenciamos esta extraordinaria feria. Además a Olympia, la muñeca mecánica (excitante como caminaba alrededor con un carrito mecánico), se admiraron también otros objetos maravillosos. Sorprendió, por ejemplo la pequeña orquesta con un arpa, un contrabajo y una batería- perfectamente automatizada con arte y manos movientes, que acompañaron el trágico fin de Antonia. Al contrario, la baqueta un poco anónima de Emmanuel Villaume no convenció. Su dirección fue invalidada por cierta pesadez, impresiones y escasa teatralidad. La obra de Offenbach pasó sin dejar una huella profunda. En cuanto a los cantantes es necesario señalar al Hoffman mórbido, delicado, íntimo de Marc Laho, no siempre enfocado, pero sin embargo expresivo. Extrovertida, desenvuelta en escena y en lo vocal estuvo Manuela Custer. La ecléctica mezzosoprano italiana delineó una Nicklause afable, simpática, pero conmovedora (como en la última escena en el papel de la musa). Diabólico, luciferino, cáustico a su vez, fue Simone Alberghini que interpretó con gran conciencia y seguridad vocal los cuatro papeles malvados de la opera. Lindorf, Coppélius, Docteur Miracle y Dapertutto. La suya fue una prueba teatralmente mayúscula. Las otras tres mujeres de Hoffman fueron a su vez contrastantes. La simpatiquísima Olympia de Anna Skibinsky, segura en el registro sobre agudo, mostró inseguridad en la entonación y cierta rapidez para afrontar la coloratura. Desilusionó la Antonia de Rafaella Angeletti. Poco calor, una línea de canto un poco descompuesta, algunos problemas de apoyo no le han permitido delinear un personaje creíble y desenvuelto. Un poco anónima fue también la Giulietta de Patricia Orciani. Entre los papeles secundarios señalo la buena prueba de Alessandro Guerzoni un Crespel de acento noble y emocionante, el Spalanzani extraviado y aturdido de Emanuele Giannino, y Carlo Bosi que recrearon los papeles buffos de Cochenille, Frantz e Pitichinaccio con una buena voz sonora en el centro. Buen éxito para el público.
Desde el punto de vista visual, estos Cuentos de Hoffman han agradado bastante. Nicolas Joël (cuya regia fue repuesta en esta ocasión por Stephane Roche) la ambientó en el tiempo de la 1ra exposición universal londinense. Una cortina pintada en el cual resaltaba el Crystal Palace –la construcción de vidrio y metal erecta en el Hyde Park en 1851 y aquí reproducida con elegancia por el escenográfo Ezio Frigerio – y sobre la cual se podían admirar, pinturas, de perros amaestrados, mujeres serpientes y un enorme King Kong, funcionaba como trait d’union, subiendo y bajando respectivamente, al inicio y al fin de cada escena. Todos los presentes presenciamos esta extraordinaria feria. Además a Olympia, la muñeca mecánica (excitante como caminaba alrededor con un carrito mecánico), se admiraron también otros objetos maravillosos. Sorprendió, por ejemplo la pequeña orquesta con un arpa, un contrabajo y una batería- perfectamente automatizada con arte y manos movientes, que acompañaron el trágico fin de Antonia. Al contrario, la baqueta un poco anónima de Emmanuel Villaume no convenció. Su dirección fue invalidada por cierta pesadez, impresiones y escasa teatralidad. La obra de Offenbach pasó sin dejar una huella profunda. En cuanto a los cantantes es necesario señalar al Hoffman mórbido, delicado, íntimo de Marc Laho, no siempre enfocado, pero sin embargo expresivo. Extrovertida, desenvuelta en escena y en lo vocal estuvo Manuela Custer. La ecléctica mezzosoprano italiana delineó una Nicklause afable, simpática, pero conmovedora (como en la última escena en el papel de la musa). Diabólico, luciferino, cáustico a su vez, fue Simone Alberghini que interpretó con gran conciencia y seguridad vocal los cuatro papeles malvados de la opera. Lindorf, Coppélius, Docteur Miracle y Dapertutto. La suya fue una prueba teatralmente mayúscula. Las otras tres mujeres de Hoffman fueron a su vez contrastantes. La simpatiquísima Olympia de Anna Skibinsky, segura en el registro sobre agudo, mostró inseguridad en la entonación y cierta rapidez para afrontar la coloratura. Desilusionó la Antonia de Rafaella Angeletti. Poco calor, una línea de canto un poco descompuesta, algunos problemas de apoyo no le han permitido delinear un personaje creíble y desenvuelto. Un poco anónima fue también la Giulietta de Patricia Orciani. Entre los papeles secundarios señalo la buena prueba de Alessandro Guerzoni un Crespel de acento noble y emocionante, el Spalanzani extraviado y aturdido de Emanuele Giannino, y Carlo Bosi que recrearon los papeles buffos de Cochenille, Frantz e Pitichinaccio con una buena voz sonora en el centro. Buen éxito para el público.
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