Foto: Amati Bacciardi
Massimo Viazzo
Ma lo spettacolo
più atteso del festival era senz’altro il Guillame Tell, sia per il fatto di essere eseguito nella versione originale
francese pressoché integrale, sia perché rappresentava il debutto italiano di Juan Diego Flórez in quello che fu il
ruolo (Arnold) della leggendaria sfida vocale ottocentesca tra Adolphe Nourrit
e Gilbert Duprez, una sfida che ancora oggi appassiona studiosi, critici e
melomani, e che ebbe l’irreversibile conseguenza di tracciare la strada verso
la vocalità romantica. Juan Diego Flórez ha incarnato in modo straordinario
tutto ciò che di poetico, di sensibile, di estatico ed elegiaco caratterizzava il
suo personaggio, perdendo solo un po’, forse, in piglio eroico (cabaletta dell’atto quarto). Ma la sua
prova è stata maiuscola per saldezza, prontezza vocale, scatto negli acuti,
riuscendo più volte ad elettrizzare la platea. Anche Nicola Alaimo ha saputo trarre molte sfumature dal suo personaggio
(Guillame) mostrando carisma scenico, ora ieratico e austero come un profeta
biblico, ora tenerissimo (“Sois
immobile”). Marina Rebeka
(Mathilde) ha sfoggiato una timbrica suadente e un fraseggio morbido, ma
l’espressività e il calore sono parsi un po’ frenati. Il cast nel complesso è
apparso adeguato in tutti i ruoli, come, ad esempio, è da segnalare il
cristallino Ruodi di Celso Albelo,
dal canto rifinito e musicale, la disinvolta Amanda Forsythe, nei panni maschili di Jemmy per il quale si
recuperava l’aria di bravura “Ah, que ton
âme se rassure”, Veronica Simeoni,
una commossa Edwige, Simone Alberghini (Melchtal)
e Simon Orfila (Walter Furst),
entrambi partecipi e vibranti. Ma la vera sorpresa di questo allestimento è
stata la valorizzazione non scontata di una parte spesso ritenuta, in
quest’opera, quasi secondaria. Mi riferisco al ruolo del “cattivo” Gessler, qui
interpretato con carisma debordante da Luca
Tittoto. Per lui, il regista Graham
Vick ha costruito un terzo atto di notevole impatto visivo e scenico. Si
trattava di una grandiosa festa (in questa edizione sono stati eseguiti tutti i
ballabili rossiniani) durante la
quale gli oppressori calpestavano la dignità degli oppressi, e non solo
metaforicamente! Volavano, infatti, calci e pugni, e c’erano violenze anche
sulle donne. Questo potrebbe aver disturbato un po’ il pubblico dell’Adriatic Arena, ma certamente Vick ha
colto benissimo nel segno, mostrando così che l’odio e il livore del popolo
soggiogato (ed esasperato!) andavano ben oltre gli innocui e consueti quadretti
oleografici “da cartolina”. E un po’ in tutto lo spettacolo il regista inglese
è parso più interessato a raccontare gli elementi d’una sempre più consapevole lotta
di classe piuttosto che la semplice vicenda del libretto. Michele Mariotti, a capo dei complessi del Teatro Comunale di
Bologna, ha trovato il passo giusto, accompagnando con raffinatezza i cantanti,
anche se a volte pareva mancare una visione d’insieme più organica.
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