Renzo Bellardone
Senza l’illusione di un momento, senza la
voglia di vivere una fiaba, la vita sarebbe poca cosa! Si dice che gli animi
più serenamente obiettivi appartengano a
chi sa conservare nel tempo un po’ di quella fanciullezza passata. Il saper
vedere la vita con gli occhi di bimbo che si spalancano di fronte alle luci
inconsuete, ai colori ed ai suoni, forse rende la vita più gioiosa e serena.
La
prima esecuzione in Torino de ‘La donna serpente’, si configura in un evento eccezionale, intorno al quale il Teatro
Regio e la città di Torino hanno addirittura costruito un ‘progetto’ festival sulla
figura del compositore Alfredo Casella; per questo motivo ritengo che non sia
possibile recensire succintamente
l’opera ‘La donna serpente’ limitandosi ad annotare le impressioni visive e di
ascolto, ma che si rendano necessarie almeno alcune considerazioni e citazioni
Sfogliando
il libro di sala e dopo aver seguito alcune interviste proposte anche in
occasione della diretta su Rai 5 alla ‘prima’ del 14 aprile, rilasciate dal
sovrintendente del Regio Valter Vergnano
e dal direttore musicale Gianadrea
Noseda, si annota: “ Casella rappresenta una importante figura del xx
secolo; Faurè fu suo maestro, mentre tra le amicizie vantava i nomi di Debussy,
Ravel e Stravinskij”. Noseda a proposito della composizione musicale riferisce
“ad esempio il ‘Lamento’ di Miranda (Vaghe stelle dell’Orsa) ha un fascino
antico che non è quello dell’aria classica di sapore ottocentesco, ma piuttosto
del madrigale, ………il ‘quintetto delle maschere’ che è tutto basato su un
esercizio linguistico di chiaro gusto rossiniano, ma conduce a sviluppi formali
che pur restando comici , suonano completamente diversi…”
Lucilla
Castellari nel suo libro ‘Dal carnevale veneziano al romanticismo musicale
tedesco’ edito da Campanotto editore, scrive: “con ‘La donna serpente’ Carlo
Gozzi imprime una svolta alla sua produzione fiabesca (quinta delle fiabe
teatrali): torna alla fiaba di magia, esasperandone la spettacolarità e la
complessità d’intreccio, pur conservando la formula passionale e per certi
aspetti patetica, sperimentata nella Turandot; si tratta di quella che Edoardo
Sanguinetti definisce ‘la geniale invenzione di un genere:la fiaba scenica’”
La
storia è abbastanza complicata e di non facile intuizione per il gran numero di
personaggi e per le situazioni intricate ed alcune visualizzazioni riportano ai
pargoletti della Morma oppure alla cerva bianca in Rusalka: ma la proposta del
Regio, tanto per rimanere in sintonia, è realmente fiabesca, un sogno irreale
in un mondo di colori, suoni, luci ed ombre!
La
Musica appare subito godibilissima, senza i bruschi accenti di alcuni
compositori contemporanei ed al tempo stesso sfrondata dai manierismi di certe
arie antecedenti. Gianadrea Noseda
dirige con piglio sicuro e profonda concentrazione: si tratta di una partitura
complessa che questi affronta con la
passione critica già impiegata nelle precedenti ricerche ed incisioni di opere
del torinese Casella, del quale Noseda è profondo conoscitore ed instancabile
divulgatore. L’intesa con l’orchestra è sempre forte, ma in questa occasione si
colgono anche la passione ed il
desiderio del nuovo che accomunano! Quello che giunge all’ascolto è una musica
che cattura, che coinvolge ed attrae.
La
messa in scena è favolosa. L’essenzialità lascia spazio alla fantasia e la
spettacolarità è affidata alla Fattoria
Vittadini per rocambolesche coreografie di Riccardo Olivier, che con
forte descrittività narrano e collegano le scene. I costumi del geniale Gianluca Falaschi sono dei reali
capolavori fatti di semplicità, di folgoranti colori in caleidoscopici ed acquerellati
arcobaleni ed elementi di forte scenicità. Le accattivanti e suggestive luci
disegnate da Giuseppe Calabrò e le
geometriche ma armoniose scenografie di Dario
Gessati immergono in un fantastico spazio atemporale che portano nel buio
della notte, nell’attimo in cui il sole si oscura ed in una sorta di
moltiplicazione del disco solare con proiezioni sul palco. La regia di Arturo Cirillo è rispettosa della
commedia dell’arte che viene catapultata nella contemporaneità futurista: molto
gradevole e ricercata per raffinatezza ed eleganza. Il
superbo coro preparato da Claudio Fenoglio ed un cast stellare portano a
compimento il meritato successo!
Piero Pretti, tenore dal timbro morbido ha
interpretato il re Altidor con i giusti accenni patetici e di passione amorosa
con emissione chiara ed addirittura struggente nell’Addio, addio..’; Carmela Remigio insignita proprio in
questi giorni del prestigioso premio
Abbiati 2015, ha interpretato la Fata Miranda con
liricità scintillante e purezza di fraseggio ricercato allo stremo ed
esaltato nel sopracitato ‘Vaghe stelle dell’orsa’ senza il supporto
orchestrale. Armilla ha incontrato in Erika
Grimaldi una straordinaria interprete che nel ruolo di superba combattente ha dimostrato brillantezza
ed incisività; pregevoli i duetti con Anna
Maria Chiuri il mezzosoprano che ha dato voce a Canzade sfogliando i bei
colori ambrati e possenti che il suo mezzo permette. Francesca Sassu –Farzana- ha fresca voce particolarmente apprezzata
nei toni alti. Francesco Marsiglia
–Alditruf- è agile tenore e scenicamente sciolto; Marco Filippo Romano sfodera
bei colori con timbro possente interpretando un Albrigor
saltellante e divertente. Roberto De
Candia -Pantul- rende in modo
delineato il personaggio che disegna con attenzione e precisione gestuale e
vocale. Tartagil viene interpretato dal tenore
Fabrizio Paesano con voce
limpida e sicura. Lo scurissimo colore dai contorni morbidi di Fabrizio Beggi ha conferito
autorevolezza e potenza al ministro Togrul.
Sicuramente
interessanti Demogorgon-Sebastian Catana,
Smeraldina-Kate Fruchtherman, Badur-Donato di Gioia, Geonca-Emilio Marcucci, secondo messo-Alejandro Escobar, prima fatina Eugenia Braynova, seconda fatina-Roberta Garelli e una voce-Giuseppe Capoferri.
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