Credito: Michele Crosera
Massimo Viazzo
Agrippina rappresenta senz’altro la summa musicale italiana del giovane Händel. La première del 1709 al Teatro Grimani di San Giovanni Crisostomo (oggi Teatro Malibran) si rivelò un clamoroso successo con le sue quasi trenta repliche consecutive, e nonostante sia costituita per più di 4/5 da autoimprestiti e citazioni di lavori di altri musicisti, l’opera mantiene una compattezza stilistica che ha del miracoloso.
L’allestimento, programmato in coda a questa stagione in occasione del 300° anniversario della prima rappresentazione veneziana, è stato curato dagli studenti del corso di laurea specialistica in «Scienze e tecniche del teatro» dell’Università IUAV di Venezia diretto da Walter Le Moli con il coordinamento generale di Paola Donati. E, dico subito, l’operazione è riuscita in pieno! Sul palcoscenico del Malibran si è potuto assistere ad uno spettacolo semplice, ma efficacissimo: muri non paralleli che delimitavano geometricamente lo spazio, sipari dorati che salivano e scendevano per isolare i protagonisti in proscenio al momento delle loro effusioni liriche, qualche elemento scenico su un palco sostanzialmente vuoto - un letto (luogo principe dell’intrigo), un trono, delle colonne… - ma soprattutto vorrei segnalare le luci sapientemente manovrate da Claudio Coloretti (uno dei tutor che hanno seguito il lavoro dei ragazzi) che è riuscito a contraddistinguere l’idiomaticità dei diversi ambienti con grande sensibilità artistica e maestria tecnica. L’allestimento, inoltre, ha saputo cogliere con leggerezza quell’ironia che pervade il libretto del cardinal Grimani e che rende così attuali le vicende dei protagonisti. Sono alcuni anni che l’Università IUAV collabora con la stagione d’opera del Teatro La Fenice di Venezia (la Didone di Francesco Cavalli è addirittura approdata un anno fa al Teatro alla Scala) e credo si possa dire, senza tema di smentita, che questo modo così vitale e dinamico di coinvolgere laureandi e giovani laureati sia un esempio da imitare.
Fabio Biondi ha compiuto un ottimo lavoro di concertazione avendo a disposizione, questa volta, non il suo ensemble storico, la duttilissima Europa Galante (solo tre elementi rinforzavano il continuo), ma l’Orchestra del Teatro La Fenice, complesso poco abituato alle pratiche barocche. Un’attenzione costante alle dinamiche, la fantasia inesauribile alla ricerca di un fraseggio mai ingessato e soprattutto una cantabilità tutta italiana (Biondi stesso, dal podio, ha imbracciato più volte il suo violino) sono parse le cifre caratterizzanti di questa esecuzione, ritmicamente eccitata e tesissima nella resa teatrale. La presenza degli strumenti moderni ha, poi, prodotto una timbrica più corposa e rotonda, che peraltro non ha compromesso gli equilibri con il palcoscenico.
Il cast vocale è stato dominato dalla splendida Agrippina di Ann Hallenberg. Il soprano svedese, con voce sontuosa, ma anche ricca di pathos, ha delineato un personaggio altamente carismatico la cui determinazione scenica andava perfettamente a braccetto con la straordinaria sicurezza vocale. Il punto più alto della sua prestazione lo si è raggiunto nella grande aria del secondo atto «Pensieri, voi mi tormentate» trasformata dalla Hallenberg in una vera e propria scena di follia. Veronica Cangemi, prudente nel registro acuto (la sua «Se giunge un dispetto» che chiude il primo atto è parsa comunque scoppiettante al punto giusto), ha fatto di Poppea un personaggio credibile mettendo in evidenza, con una timbrica limpida e suadente, quella frivolezza e inconsistenza che le sono proprie. Debordante scenicamente Lorenzo Regazzo. Il suo Claudio, fanfarone e comicamente truce, è stato risolto con una vocalità giustamente ruvida e sempre molto comunicativa. «Io di Roma il Giove sono» cantato pavoneggiandosi con nonchalance era davvero irresistibile. Molto bravo nel canto intimo e patetico Xavier Sabata, un Ottone commovente e toccante (applauditissimo in «Voi che udite il mio lamento»), mentre più spericolato, seppur un po’ aspro, è parso il Nerone di Florin Cezar Ouatu. Sicuro il Pallante di Ugo Guagliardo, un po’ troppo leggeri, invece, Narciso e Giunone interpretati entrambi da Michela Storti. Menzione speciale, infine, per Roberto Abbondanza la cui dizione nitida e scolpita ha saputo rendere giustizia al piccolo ruolo di Lesbo. Alla fine applausi convinti di un pubblico molto soddisfatto.
L’allestimento, programmato in coda a questa stagione in occasione del 300° anniversario della prima rappresentazione veneziana, è stato curato dagli studenti del corso di laurea specialistica in «Scienze e tecniche del teatro» dell’Università IUAV di Venezia diretto da Walter Le Moli con il coordinamento generale di Paola Donati. E, dico subito, l’operazione è riuscita in pieno! Sul palcoscenico del Malibran si è potuto assistere ad uno spettacolo semplice, ma efficacissimo: muri non paralleli che delimitavano geometricamente lo spazio, sipari dorati che salivano e scendevano per isolare i protagonisti in proscenio al momento delle loro effusioni liriche, qualche elemento scenico su un palco sostanzialmente vuoto - un letto (luogo principe dell’intrigo), un trono, delle colonne… - ma soprattutto vorrei segnalare le luci sapientemente manovrate da Claudio Coloretti (uno dei tutor che hanno seguito il lavoro dei ragazzi) che è riuscito a contraddistinguere l’idiomaticità dei diversi ambienti con grande sensibilità artistica e maestria tecnica. L’allestimento, inoltre, ha saputo cogliere con leggerezza quell’ironia che pervade il libretto del cardinal Grimani e che rende così attuali le vicende dei protagonisti. Sono alcuni anni che l’Università IUAV collabora con la stagione d’opera del Teatro La Fenice di Venezia (la Didone di Francesco Cavalli è addirittura approdata un anno fa al Teatro alla Scala) e credo si possa dire, senza tema di smentita, che questo modo così vitale e dinamico di coinvolgere laureandi e giovani laureati sia un esempio da imitare.
Fabio Biondi ha compiuto un ottimo lavoro di concertazione avendo a disposizione, questa volta, non il suo ensemble storico, la duttilissima Europa Galante (solo tre elementi rinforzavano il continuo), ma l’Orchestra del Teatro La Fenice, complesso poco abituato alle pratiche barocche. Un’attenzione costante alle dinamiche, la fantasia inesauribile alla ricerca di un fraseggio mai ingessato e soprattutto una cantabilità tutta italiana (Biondi stesso, dal podio, ha imbracciato più volte il suo violino) sono parse le cifre caratterizzanti di questa esecuzione, ritmicamente eccitata e tesissima nella resa teatrale. La presenza degli strumenti moderni ha, poi, prodotto una timbrica più corposa e rotonda, che peraltro non ha compromesso gli equilibri con il palcoscenico.
Il cast vocale è stato dominato dalla splendida Agrippina di Ann Hallenberg. Il soprano svedese, con voce sontuosa, ma anche ricca di pathos, ha delineato un personaggio altamente carismatico la cui determinazione scenica andava perfettamente a braccetto con la straordinaria sicurezza vocale. Il punto più alto della sua prestazione lo si è raggiunto nella grande aria del secondo atto «Pensieri, voi mi tormentate» trasformata dalla Hallenberg in una vera e propria scena di follia. Veronica Cangemi, prudente nel registro acuto (la sua «Se giunge un dispetto» che chiude il primo atto è parsa comunque scoppiettante al punto giusto), ha fatto di Poppea un personaggio credibile mettendo in evidenza, con una timbrica limpida e suadente, quella frivolezza e inconsistenza che le sono proprie. Debordante scenicamente Lorenzo Regazzo. Il suo Claudio, fanfarone e comicamente truce, è stato risolto con una vocalità giustamente ruvida e sempre molto comunicativa. «Io di Roma il Giove sono» cantato pavoneggiandosi con nonchalance era davvero irresistibile. Molto bravo nel canto intimo e patetico Xavier Sabata, un Ottone commovente e toccante (applauditissimo in «Voi che udite il mio lamento»), mentre più spericolato, seppur un po’ aspro, è parso il Nerone di Florin Cezar Ouatu. Sicuro il Pallante di Ugo Guagliardo, un po’ troppo leggeri, invece, Narciso e Giunone interpretati entrambi da Michela Storti. Menzione speciale, infine, per Roberto Abbondanza la cui dizione nitida e scolpita ha saputo rendere giustizia al piccolo ruolo di Lesbo. Alla fine applausi convinti di un pubblico molto soddisfatto.
Versión en Español
Agrippina representa la summa musical italiana del joven Händel. La première de 1709 en el Teatro Grimani di San Giovanni Crisostomo (hoy Teatro Malibran) se reveló como un clamoroso suceso con sus casi treinta reproducciones consecutivas, y a pesar de que fue formada mas de 4/5 con partes prestadas o citas de obras de otros músicos, la opera mantiene una conjunción estilística milagrosa.
La producción programada en coda esta temporada para conmemorar el 300º aniversario de la primera representación veneciana, fue creada por los estudiantes del curso de licenciatura especializada en «Ciencias y Técnicas del Teatro» de la universidad Università IUAV di Venezia dirigido por Walter Le Moli con la coordinación general de Paola Donati, y me apresuro a decir que la operación fue ¡un éxito pleno! Sobre el escenario del Teatro Malibran de Venecia se pudo ver un espectáculo simple, pero muy eficaz: de muros no paralelos que delimitaban geométricamente el espacio, cortinas doradas que subían y bajaban para aislar a los protagonistas en el proscenio al momento de sus efusiones líricas, y algunos elementos escénicos sobre un escenario sustancialmente vacío –una cama (lugar principal de la intriga), un trono, algunas columnas….- pero sobretodo quisiera señalar la iluminación sabiamente maniobrada por Claudio Coloretti (uno de los tutores que han seguido el trabajo de los jóvenes) que logró distinguir lo idiomático de los diversos ambientes con gran sensibilidad artística y maestría técnica. La puesta escénica, además, pudo captar con ligereza la ironía que domina al libreto del cardenal Grimani dándole actualidad a las vivencias de los protagonistas. Son ya algunos años que la Università IUAV colabora con la temporada de opera del Teatro La Fenice de Venecia (como la Didone de Francesco Cavalli que fue además representada hace un año en el Teatro alla Scala de Milán) y se puede decir, sin negarlo, que esta manera casi vital y dinámica de involucrar estudiantes del ultimo año y ya licenciados es un ejemplo para imitar.
Fabio Biondi completó un trabajo de concertación teniendo a su disposición esta vez, no a su ensemble histórico, la muy dúctil Europa Galante (solo tres elementos reforzaron el continuo), si no a la Orquesta del Teatro La Fenice, agrupación poco habituada a las practicas barrocas. Una atención constante a las dinámicas, la ilimitada fantasía en la búsqueda de un fraseo nunca enyesado y sobretodo un canto o “cantabilità” completamente italiano (Biondi mismo, desde el podio, tocó varias veces con su violín) parecieron ser las cifras características de esta ejecución, rítmicamente estimulada y mantenida en la interpretación teatral.
La presencia de los instrumentos modernos produjo un timbre más corpóreo y redondo que sin embargo no comprometió el equilibrio con el escenario. El cast vocal fue dominado por la esplendida Agrippina de Ann Hallenberg. La soprano sueca, con voz suntuosa, y también rica de pathos delineó un personaje altamente carismático cuya determinación escénica marchó perfectamente del brazo de la extraordinaria seguridad vocal. El punto mas alta de su prestación lo alcanzó en la gran aria del segundo acto «Pensieri, voi mi tormentate» transformada por Hallenger en una verdadera y apropiada escena de locura. Verónica Cangemi, estuvo prudente en el registro agudo (su «Se giunge un dispetto» que cerró el primer acto, pareció crujir al punto justo) e hizo de Poppea un personaje creíble, poniendo en evidencia con una timbrica cristalina y convincente, la frivolidad e inconsistencia que le pertenecen. Desbordante escénicamente estuvo Lorenzo Regazzo. Su Claudio, fanfarrón y cómicamente cruel fue resuelto con una vocalidad justamente áspera y siempre muy comunicativa «Io di Roma il Giove sono» cantada pavoneándose con nonchalance fue verdaderamente irresistible. Muy bueno en su canto intimo y patético Xavier Sabata, un Ottone conmovedor y enternecedor (muy aplaudido en «Voi che udite il mio lamento»), mientras que mas arrebatado, casi amargo, pareció el Nerone de Florin Cezar Ouatu. Seguro el Pallante de Ugo Guagliardo, y a la vez demasiado ligeros Narciso y Giunone, ambos interpretados por Michela Storti. Mención especial al final para Roberto Abbondanza que con nítida y esculpida dicción supo hacerle justicia al pequeño papel de Lesbo. Al final, convincentes aplausos de un publico muy satisfecho.
Agrippina representa la summa musical italiana del joven Händel. La première de 1709 en el Teatro Grimani di San Giovanni Crisostomo (hoy Teatro Malibran) se reveló como un clamoroso suceso con sus casi treinta reproducciones consecutivas, y a pesar de que fue formada mas de 4/5 con partes prestadas o citas de obras de otros músicos, la opera mantiene una conjunción estilística milagrosa.
La producción programada en coda esta temporada para conmemorar el 300º aniversario de la primera representación veneciana, fue creada por los estudiantes del curso de licenciatura especializada en «Ciencias y Técnicas del Teatro» de la universidad Università IUAV di Venezia dirigido por Walter Le Moli con la coordinación general de Paola Donati, y me apresuro a decir que la operación fue ¡un éxito pleno! Sobre el escenario del Teatro Malibran de Venecia se pudo ver un espectáculo simple, pero muy eficaz: de muros no paralelos que delimitaban geométricamente el espacio, cortinas doradas que subían y bajaban para aislar a los protagonistas en el proscenio al momento de sus efusiones líricas, y algunos elementos escénicos sobre un escenario sustancialmente vacío –una cama (lugar principal de la intriga), un trono, algunas columnas….- pero sobretodo quisiera señalar la iluminación sabiamente maniobrada por Claudio Coloretti (uno de los tutores que han seguido el trabajo de los jóvenes) que logró distinguir lo idiomático de los diversos ambientes con gran sensibilidad artística y maestría técnica. La puesta escénica, además, pudo captar con ligereza la ironía que domina al libreto del cardenal Grimani dándole actualidad a las vivencias de los protagonistas. Son ya algunos años que la Università IUAV colabora con la temporada de opera del Teatro La Fenice de Venecia (como la Didone de Francesco Cavalli que fue además representada hace un año en el Teatro alla Scala de Milán) y se puede decir, sin negarlo, que esta manera casi vital y dinámica de involucrar estudiantes del ultimo año y ya licenciados es un ejemplo para imitar.
Fabio Biondi completó un trabajo de concertación teniendo a su disposición esta vez, no a su ensemble histórico, la muy dúctil Europa Galante (solo tres elementos reforzaron el continuo), si no a la Orquesta del Teatro La Fenice, agrupación poco habituada a las practicas barrocas. Una atención constante a las dinámicas, la ilimitada fantasía en la búsqueda de un fraseo nunca enyesado y sobretodo un canto o “cantabilità” completamente italiano (Biondi mismo, desde el podio, tocó varias veces con su violín) parecieron ser las cifras características de esta ejecución, rítmicamente estimulada y mantenida en la interpretación teatral.
La presencia de los instrumentos modernos produjo un timbre más corpóreo y redondo que sin embargo no comprometió el equilibrio con el escenario. El cast vocal fue dominado por la esplendida Agrippina de Ann Hallenberg. La soprano sueca, con voz suntuosa, y también rica de pathos delineó un personaje altamente carismático cuya determinación escénica marchó perfectamente del brazo de la extraordinaria seguridad vocal. El punto mas alta de su prestación lo alcanzó en la gran aria del segundo acto «Pensieri, voi mi tormentate» transformada por Hallenger en una verdadera y apropiada escena de locura. Verónica Cangemi, estuvo prudente en el registro agudo (su «Se giunge un dispetto» que cerró el primer acto, pareció crujir al punto justo) e hizo de Poppea un personaje creíble, poniendo en evidencia con una timbrica cristalina y convincente, la frivolidad e inconsistencia que le pertenecen. Desbordante escénicamente estuvo Lorenzo Regazzo. Su Claudio, fanfarrón y cómicamente cruel fue resuelto con una vocalidad justamente áspera y siempre muy comunicativa «Io di Roma il Giove sono» cantada pavoneándose con nonchalance fue verdaderamente irresistible. Muy bueno en su canto intimo y patético Xavier Sabata, un Ottone conmovedor y enternecedor (muy aplaudido en «Voi che udite il mio lamento»), mientras que mas arrebatado, casi amargo, pareció el Nerone de Florin Cezar Ouatu. Seguro el Pallante de Ugo Guagliardo, y a la vez demasiado ligeros Narciso y Giunone, ambos interpretados por Michela Storti. Mención especial al final para Roberto Abbondanza que con nítida y esculpida dicción supo hacerle justicia al pequeño papel de Lesbo. Al final, convincentes aplausos de un publico muy satisfecho.
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