Crédito: Binci – Teatro Pergolesi di Jesi
Giosetta Guerra
Il Teatro Pergolesi di Jesi continua l’operazione di riesumazione delle opere dimenticate dei compositori marchigiani, iniziata nel 1995 con la riscoperta del Teseo riconosciuto di Gaspare Spontini, cui sono seguite Giulietta e Romeo di Nicola Vaccaj, Il Prigionier superbo di Giovan Battista Pergolesi, Ruy Blas di Filippo Marchetti, Ines de Castro di Giuseppe Persiani, La Marescialla d’Ancre di Alessandro Nini, Il Domino nero di Lauro Rossi. Quest’anno è stato riproposto Il Prigionier superbo (prima ed unica rappresentazione a Napoli, Teatro S. Bartolomeo, 28 agosto 1733) con una regia che, invece di semplificare la trama, già abbastanza ingarbugliata, come quasi tutte le opere barocche, la complica, sia perché i personaggi, anche quelli maschili, sono vestiti e interpretati da donne (e non en travesti), tranne il tenore, sia perché il regista Henning Brockhaus affianca ad ogni personaggio in abiti moderni un pupazzo in costume barocco con linguaggi gestuali diversi, ossia, mentre il protagonista canta in posizione pressoché statica, il suo alter ego gesticola in modo enfatico, mosso da un paio di mini incappucciati, quindi ogni personaggio si fa in quattro. Una bella fatica per lo spettatore! Nella scena finale tutti i cantanti ritornano scenicamente single, perché i pupazzi vengono riposti negli scatoloni di cartone, precedentemente usati in qualche scena per avvolgere i protagonisti (non si è capito perché). Brockhaus ha ideato anche una scenografia di pietra vulcanica istoriata a incisione con larghe spaccature, da cui entrano i personaggi e la luce (disegno di Brockhaus e Fabrizio Gobbi), quattro macigni di marmo sono posti a terra come appoggio o come sedile per i personaggi sia vivi che inanimati. Molto grigiore quindi, illuminato da luci provenienti da dietro. Il colore si sprigiona nei costumi ideati da Giancarlo Colis, molto elaborati quelli dei pupi, molto eleganti quelli moderni dei cantanti. Marionettisti del Teatro Pirata di Jesi. L’opera non è molto accattivante, il primo atto è piuttosto noioso e non rende giustizia neanche ai cantanti, l’interesse cresce nel II e III atto, perché i pezzi chiusi sono più belli e più sbalzati e gli interpreti hanno modo di tirar fuori le loro doti e la loro grinta. I cantanti hanno bene assolto il loro compito, tranne l’unico uomo, che ha declamato più che cantato, comunque un maggior spessore vocale non avrebbe guastato, ricordiamo che il repertorio barocco vuole grandi voci in grado di aderire alla prassi esecutiva dell’epoca. Sostrate, re di Norvegia, è il prigionier superbo, in abiti maschili rossi, i capelli raccolti in un codino, posto su una sedia a rotelle (a simular le catene). A lui sono riservate arie strategiche cantate (si fa per dire) dal tenore corto Antonio Lozano, che si prodiga in qualche slancio acuto (aria di sortita “Premi, o tiranno altero” – I. 1), ma non ha la voce per aderire alle agilità e agli sbalzi della musica nell’agitata aria di confronto “Salda quercia” (I. 11) (non basta agitazione in scena); nell’aria cantabile e appassionata “Vado a morte” (II. 7) cerca di cantare tutto sulla mezza voce e non si sente niente, tuttavia qualche suono che si espande nell’acuto lascia intuire un bel timbro. Rosmene, sua figlia, innamorata di Viridace, ha lo stesso numero di momenti lirici ed è interpretata Marina Rodríguez Cusí in abito da sera rosso. Il mezzosoprano spagnolo esibisce suoni gravi scuri ma poco consistenti, mezze voci appena sussurrate, dizione incomprensibile nell’aria di sortita “Fra tanti affanni miei” (I. 4), intrisa di sublimata mestizia e di sofferta sospensione, esegue bene i forti affondi scuri e densi e i violenti slanci acuti nell’aria di furore e di agilità “M’intendeste? Non pavento” (I. 6), mette a fuoco un buon peso e un bel colore vocale nell’ aria di dolore “Chi mi sgrida” (II. 9), con suoni molto densi e rotondi, emissione morbida e affondi naturali. Il tirannico Metalce, re dei Goti, folgorato da Rosmene, conta il maggior numero di presenze in scena; è interpretato dal buon mezzosoprano Marina De Liso in versione dark (coi capelli sparati, vestita di nero e una bottiglia in mano). Vocalmente ha un bel colore scuro e brunito, buon peso e intensità espressiva, ma gli attacchi sono troppo sospirosi e le mezze voci poco sonore nell’aria “Che fiero martire” (I. 3), è brava ad eseguire l’aria di furore “Trucidati a queste piante” (II. 6), canta bene il recitativo accompagnato “Qual orror! Qual spavento!” (III. 7), accompagnato da un’orchestra vibrante e strappi di corni. Il mezzosoprano usa bene la voce che bella, di buon peso ed estesa anche nell’acuto, ma la parte richiederebbe una voce più possente. Viridate, principe di Danimarca innamorato di Rosmene, all’epoca interpretato dal castrato Castorini, è il mezzosoprano Marina Comparato con un bellissimo abito da sera femminile verde chiaro. La cantante esibisce voce agile e densa ma timbricamente più vicina a quella di soprano (aria “Parto. Non ti sdegnar” – I. 4); interpreta molto bene e con accento scandito ed incisivo l’aria di furore sbalzata “Del mio valore al lampo” (II. 4), interessante e coinvolgente per il ritmo e le fitte agilità, fa uso di sonore mezze voci per l’ aria di tristezza “Ombre meste, oscuri orrori” (III. 1) sostenuta da una musica delicata e tenue. Micisda, principe di Boemia innamorato di Ericlea e protagonista di un intreccio secondario, ha qualche momento di discreto virtuosismo. Presentato in abito da sera femminile nero, è interpretato dal contralto Giacinta Nicotra, che sembra più un soprano con qualche acutino e risolve le agilità con il vibrato (aria “Un’aura di speranza” – I. 8, aria “Se il tuo bel labro” – II. 1) . Nel III atto, esegue bene le fitte agilità dell’aria di tempesta “Dopo il periglio” (III. 3) con voce sonora e suoni decisi, ma da soprano e non da contralto. Ericlea, figlia del primo re di Norvegia e innamorata di Metalce, gode di momenti lirici degni di Rosmene sua rivale, è qui appannaggio di Ruth Rosique in abito da sera azzurro e diadema in testa, un soprano agile e corretto con buona emissione dei suoni ma poca articolazione della parola (aria di dolore “Giusti numi” – I. 9). Sicura nel canto anche mosso, la voce scintilla e gorgheggia a dovere nell’aria di vendetta “Vedi ingrato” (III. 5). L’Accademia Barocca de i virtuosi italiani, un piccolo organico di 21 elementi, col direttore Corrado Rovaris al cembalo, ha aderito ai tempi ora vivaci, ora pacati, ora mossi della partitura con proprietà di suono e di colori.
Versión en Español
El Teatro Pergolesi de Jesi continua la operación de exhumación de operas olvidadas de compositores de compositores oriundos de la región marchigiana, iniciada en 1995 con el redescrubrimiento de Teseo riconosciuto de Gaspare Spontini, seguida por Giulietta e Romeo de Nicola Vaccaj, Il Prigionier superbo de Giovan Battista Pergolesi, Ruy Blas de Filippo Marchetti, Ines de Castro de Giuseppe Persiani, La Marescialla d’Ancre de Alessandro Nini, e Il Domino nero de Lauro Rossi. Este año se repuso Il Prigionier superbo (cuya primera y única representación fue en Nápoles, en el Teatro S. Bartolomeo el 28 de agosto de 1733), con una puesta escénica que en vez de simplificar la trama, ya bastante enredada, como casi todas las opera barrocas, la complica ya que los personajes incluso masculinos fueron vestidos e interpretados por mujeres (y no en travesti) excepto el tenor, porque el regista Henning Brockhaus adjuntó a cada personaje en vestido moderno, una marioneta con vestido barroco con diversos lenguajes gestuales, mientras que el protagonista cantó en posición casi estática, mientras su alter ego gesticuló en modo enfático, movido por un par de mini encapuchados, por lo tanto cada personaje se hacia en cuatro. Un buen esfuerzo para los espectadores. En la escena final todos los cantantes aparecieron en escena solos, porque las marionetas fueron colocadas en cajitas de cartón, anteriormente utilizadas en algunas escenas para envolver a los protagonistas. Brockhaus ideó también una escenografía de piedra volcánica adornada y grabada con aberturas por las cuales entraban personajes y luces (diseñadas por Brockhaus y Fabrizio Gobbi), cuatro piedras de mármol se colocaron sobre tierra como apoyo y como asientos para los personajes tanto los vivos como los inanimados. Mucha palidez por lo tanto, e iluminación proveniente de atrás. El color se emitió de los vestuarios ideados por Giancarlo Colis, muy elaborados los de las marionetas, muy elegantes los modernos de los cantantes. La no opera no es muy cautivante, el primer acto es mas bien aburrido y no hace justicia ni a los cantantes. El interés crece en el segundo y tercero actos, porque las partes cerradas son más bellas y los interpretes tuvieron el modo de sacar sus dotes y su determinación. A Sostrate, rey de Noruega, es el prisionero altivo se le reservaron arias estratégicas cantadas por el tenor Antonio Lozano, que se prodiga en el impulso agudo (aria de salida “Premi, o tiranno altero”), pero no tiene la voz para adherirse a la agilidad de la música en la agitada aria de confrontación “Salda quercia”. Buscó cantar todo con la media voz y no se escuchó nada, aun así algunos sonidos que se expandieron en el agudo dejaron intuir un bello timbre. Rosmene, su hija y enamorada de Viridace, tiene el mismo número de momentos líricos y fue interpretada por Marina Rodríguez Cusí en vestido de noche rojo. La mezzosoprano española exhibió sonidos graves oscuros pero poco consistentes, media voz apenas susurrada, y dicción incomprensible en el aria de salida “Fra tanti affanni miei” pero ejecutó los fuertes, densos y violentos lances agudos en el aria de furor y agilidad “M’intendeste? Non pavento”, e encendió un buen peso y un bello color vocal en el aria dolorosa“Chi mi sgrida” con sonidos densos y rotundos, emisión mórbida y bajadas naturales. El tirano Metalce contó con el mayor número de apariciones en escena y fue interpretado por la buena mezzo soprano Marina De Liso en versión dark. Vocalmente tiene un bello color oscuro y bronceado, buen peso e intensidad expresiva. Usó bien su bella voz, de buen peso y pareja también en el agudo pero la parte requería una voz más potente. Viridate, principe de Dinamarca enamorado de Rosmene, en su momento interpretado por el castrato Castorini, fue interpretado por la mezzosoprano Marina Comparato con un bellísimo vestido de femenino de noche verde claro. La cantante exhibió una voz agile y densa pero en timbre mas parecida a la de una soprano. Interesante y envuelta por el ritmo y la agilidad, hizo uso de sonoras medias voces para el aria de tristeza “Ombre meste, oscuri orrori” apoyada de una música delicada y tenue. Micisda, príncipe de Bohemia enamorado de Ericlea, con vestido de noche femenino, tuvo algunos momentos de discreto virtuosismo interpretado por la contralto Giacinta Nicotra (más soprano que contralto). Ericlea (hija del primer rey de Noruega y enamorada de Metalce) de Ruth Rosique, con vestido de noche azul, es una soprano ágil y correcta con buena emisión en los sonidos, pero poca articulación de la palabra. L’Accademia Barocca de virtuosos italianos, un pequeño grupo de 21 elementos, con el director Corrado Rovaris al clavecín, adhirió a los tiempos vivaces y calmados, o movidos de la partitura con propiedad de sonido y de colores.
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