Opera-Musica Foto: Die Feen - Wagner - Théâtre du Châtelet, Paris - 04/2009(c) Marie-Noëlle Robert.
Saturday, October 30, 2010
La Boheme – Opera de Bellas Artes de México
La Boheme di Puccini - Opera de Bellas Artes, Messico
La opera Matilde del compositor Julián Carrillo tuvo su estreno mundial 100 años después de su creación. San Luis Potosí, México.
Después de 100 años de espera, la Ópera Matilde o México en 1810 del compositor mexicano Julián Carrillo, se estrenó en el Teatro del Centro Cultural Universitario “Bicentenario” de San Luis Potosí, Mexico. La puesta en escena estuvo a cargo del Coro y la Orquesta Sinfónica de San Luis Potosí con direccion musical de José Miramontes Zapata y escénica de Miguel Alonso Gutiérrez. Matilde está escrita en formato de Gran Ópera, cantada en español y con notable influencia de la escuela alemana, y narra el amor pasional e imposible entre Matilde de origen español e hija de un capitán realista y León un simpatizante independentista. Se tiene como escenarios centrales la Ciudad de México, Querétaro y Dolores. Fue escrita por el compositor potosino Julián Carrillo por encargo del entonces Presidente de la República, Porfirio Díaz, para conmemorar el primer centenario de la Independencia de México, pero ese estreno nunca se llevo a cabo. Los roles estelares estuvieron a cargo de la soprano Zaira Soria, como Matilde, española peninsular enamorada de León, español criollo comprometido con la causa insurgente, personificado por el tenor José Luis Ordóñez.
También destacó la participación del barítono Oziel Garza-Ornelas, quien dio vida a Don Juan, padre de Matilde y español realista; la soprano Liliana del Conde como Hechicera, el barítono Carlos Sánchez personificando tanto a Fray Lorenzo como a Don Tomás y los talentos locales: Gilda Bernal (Rosario), Luis Guillermo Hernández (Presidente) y Ranulfo Espericueta (Luis) así como el Coro de la Orquesta Sinfónica de San Luis Potosí enriqueciendo además con su participación la ambientación de la misma al contar con el vestuario prestado para esta ocasión por la producción de la película “Hidalgo. La Historia jamás Contada”. Thursday, October 28, 2010
Attila di Verdi - Teatro Verdi di Busseto
Foto: Patrizia Monteverdi / Opera Click
Parlando peraltro di colori e di finezze di fraseggio, bisogna sottolineare che l’impeto più del cesello s’addice alla messa in scena ideata da Pierfrancesco Maestrini. Il regista, che ricordavamo solo qualche anno fa autore di allestimenti tradizionali al limite dell’oleografico, si rifà all’immaginario fantasy popolare, sostituisce le scene dipinte con proiezioni dinamiche che nella grafica e nella tecnologia ricordano i mondi avventurosi della playstation (video sviluppati da Alfredo Troisi; costumi e impianto scenico sono invece di Carlo Savi e le luci di Bruno Ciulli), veste i personaggi secondo la moda della cinematografia magico barbarica o apocalittica (da Conan a Mad Max, passando anche per Krull) o, meglio, della mitologia postmoderna dei telefilm di Sam Raimi (da Xena ed Hercules a Streghe), con uno sguardo alle serie Mattel anni ’80 di He Man. Ora, cosa abbia da spartire questo mondo con quello dell’Attila di Verdi non sapremmo proprio dirlo (ma nemmeno quali siano i rapporti fra il videogioco Dante’s Inferno e la Divina Commedia) e lo iato di frasi nobili come quelle che il sovrano unno, barbaro generoso, tirannico e fedele alla parola data, secondo la definizione di Madame De Stael, e l’aspetto ibrido fra un alieno di Avatar e un demone di una serie americana per adolescenti ci pare quantomeno straniante. Bisogna però riconoscere che lo spettacolo è condotto con convinzione e coerenza, e se si accetta l’idea di un Attila disimpegnato e ricondotto all’estetica del videogame può funzionare e anche divertire. Ogni epoca, piacciano o meno, ha le sue mode e i suoi linguaggi e se Maestrini lo riconduce a un certo pop fantasy, ricordiamo che, in diversa temperie e con diverse tecnologie, anche Attila si inserisce in una moda che affonda però le sue radici nella diffusione romantica di Schiller o Shakespeare.
Dunque i versi che oggi possono far sorridere, come gli inni a “Urli, rapine, gemiti, sangue, stupri, rapine” o al godimento per “membra e teste tronche”, fanno il paio con “Le rube, gli stupri” dei Masnadieri o con i cori delle streghe dal Macbeth, ovvero opere che si valsero dell’apporto fondamentale di un letterato come Andrea Maffei. Questo linguaggio non differisce troppo da quello della Leonora o del Cacciator feroce del Berchet, o del Giaurro di Byron tradotto da Pellegrino Rossi; non se ne dimentichi chi guarda con sufficienza all’Attila. Al di là di riflessioni e possibili perplessità sull’iconografia e l’ispirazione di questa rivisitazione contemporanea del mito romantico, però, bisogna rilevare un limite oggettivo nello spettacolo, che, nell’ampliare con le proiezioni l’angusto palcoscenico, lo limita di fatto tagliandolo con un velario che costringe i cantanti a continui passaggi in quinta per accedere al proscenio: così prima di ogni da capo vediamo il personaggio uscire di scena e rientrare: anche intendendola come un’astrazione della struttura belcantista, presto questo movimento obbligato stanca e stucca. Il cast, comunque, risponde bene, con convinzione, concretizzando le indicazioni di podio e regia. In particolare ci colpisce la voce di Maria Agresta, certo, ancora imperfetta, ma molto interessante, di bel colore squillante, spavalda e agguerrita come si conviene; ci piacerebbe riascoltarla in un ruolo più lirico in una sala di maggiori dimensioni. Ora merita un plauso per l’impeto e lo slancio con cui affronta la parte micidiale di Odabella, che pure ne mette in evidenza i limiti in un registro grave ancora non ben sviluppato e a fuoco (ne sono prova le agilità discendenti della sortita o una frase chiave come “Foresto, rammenti di Giuditta che salva Israele”).
Questi e qualche sparso piccolo segno di affaticamento non ci fanno riconoscere nella Agresta, che si alternava nel ruolo con Susanna Branchini, un’ideale interprete della pulzella di Aquileja, ma si tratta sicuramente di uno dei giovani soprani più interessanti visti negli ultimi tempi, una delle voci più promettenti ascoltate in questo Festival Verdi. Giovanni Battista Parodi non sarà, poi, l’Attila nobile, regale, introspettivo dei nostri sogni, ma è l’Attila perfetto in questo contesto, con la sua vocalità un po’ ruvida, con qualche suono gutturale, ma nel complesso più timbrata, solida e sicura di come la ricordavamo nell’Oberto sempre a Busseto nel 2007. Un debutto che infine convince, come convince complessivamente Sebastian Catana, gran voce penalizzata da un passaggio non perfettamente risolto e quindi anche di un po’ di stanchezza nell’ultimo atto che ne accentua il vibrato: peccato perché la linea nobile e legata di “Dagl’immortali vertici” ne risente, peccato perché se non timbricamente suggestiva il suo è uno strumento importante, di grande interesse per questo repertorio. Grandi applausi salutano anche Roberto De Biasio, che troviamo migliorato rispetto ai Foscari dello scorso anno, ma esibendo uno squillo indubbiamente ragguardevole rischia di cadere nel tranello che un teatro come il Verdi di Busseto può tendere, portandolo a bearsi della sonorità perdendo un po’ di vista il controllo dinamico e il legato. Come tutti, però, compensa pregi e difetti nel quadro assolutamente equilibrato di una compagnia che comprende anche l’Uldino imponente di Cristiano Cremonini e il tonante Leone di Zyian Afteh, nonché dal coro del Regio istruito da Martino Faggiani, come l’orchestra alla sua prova migliore in questo mese verdiano. Vivo successo da parte di un pubblico nel quale spiccava una Raina Kabaivanska sempre elegantissima e affascinante. Wednesday, October 27, 2010
Moctezuma di Graun - Città del Messico
Foto: Festival Cervantino/ Christa CowrieRamón Jacques
Incontriamo qui una partitura musicalmente ricchissima ed espressiva, con passaggi molto melodici e piacevoli con l’uso, ad esempio, degli ottoni (come il corno), così come le Arie (Graun ha sostituito molte Arie con Da Capo con Cavatine) e Duetti, come quello riservato a Montezuma e alla sua promessa Eupaforice, che sono effettivamente di immensa bellezza! Il punto debole dell’opera è l’estrema lunghezza dei recitativi, fondamentali per comprendere la trama, ma colpevoli di frammentare la continuità orchestrale riducendola ai momenti di scena individuale e al finale (che pare irrisolto) con la morte del protagonista. Per questo finale, per concludere in spirito giubilante, il direttore musicale argentino Gabriel Garrido, esperto nella musica barocca ispanoamericana, ha aggregato il villancico, o cantata corale, Albricias Mortales, del compositore messicano Manuel de Sumaya (1680-1755), maestro di cappella della cattedrale di Città del Messico. Il Concerto Elyma ha eseguito il lavoro con strumenti d’epoca, emettendo suoni calibrati, compatti, con una sensazione di leggerezza e dinamismo negli archi molto soddisfacente, i tutto sotto l’esaltata bacchetta di GarridoNella sua concezione scenica il regista messicano Claudio Valdez Kuri ha offerto una cruda e brutale immagine della conquista (nei primi due atti) con scene violente, sesso e umiliazioni nello stile di Calixto Bieito, e ironiche, per esempio l’entrata in scena dei conquistadores con un cane furioso, o la sostituzione delle bottiglie d’acqua con quelle di coca-cola!. Nel terzo atto Valdes Kuri ha decontestualizzato l’azione situandola in una decadente epoca moderna, con abiti consoni, spostando l’orchestra sulla scena, e utilizzando molti simboli e movimenti assurdi con l’intenzione di provocare il pubblico (come fa solitamente il Regietheater). La scenografia del belga Herman Sorgeloos era austera e semplice con tre piccole piramidi mobili (Atti primo e secondo) e una colonna al centro del palcoscenico nel terzo, tutto illuminato brillantemente.
Notevole la prova del controtenore spagnolo Flavio Oliver che ha dato vita ad un Montezuma espressivo e affettivo, emozionante nella sua aria più flessibile, colorita con voce di tono scuro. Il soprano messicano Lourdes Ambriz ha cantato con calore e mobilità di linea il suo strepitoso Duetto con Oliver, e la sua esigente Aria con i corni. E adeguata la prova del soprano Lucia Salas, con timbrica cristallina e soave nel ruolo del guerriero Pilpatoé. I conquistadores erano rappresentati dal controtenore rumeno Adrián George Popescu, un violento e grezzo Fernando Cortez, e dal controtenore francese Christophe Carré un bellicoso Narvaéz di canto un po’ stridente. Corretti nei loro interventi il resto dei partecipanti e i Coro.Tuesday, October 26, 2010
Roberto Devereux en la Opera de Roma
Esta producción de Roberto Devereux en la Opera de Roma es una reposición de un celebre espectáculo de 1987 el cual en su momento tuvo un gran éxito, con la producción escénica de Alberto Fassini y con Raina Kabaivanska como la gran protagonista. La producción actual le fue confiada al regista Joseph Franconi Lee, el cual, bajo la base de la experiencia de una larga colaboración artística con Fassini, se encargo de la realización. Se puede decir que la operación fue sustancialmente bien lograda y le permitió al publico poder ver a la distancia de los años, un espectáculo de importación tradicional pero muy estudiado, y cuyo cuidado de las particularidades fue absolutamente linear con la narración del evento. La escenografía y los vestuarios fueron los mismos ideados por David Walker en la producción original. Cuidadoso en la minuciosa reconstrucción del ambiente y sobretodo en la elección y en el juego de los colores. El todo fue claramente inspirado por los retratos de su tiempo, la tapicería de Bayreux y la tintas de la morada de Hatfield se reconstruyeron de manera elegante y muy eficaz, y la idea que estuvo presente en el imaginario colectivo de la Inglaterra elisabetiana, tanto por lo que tiene que ver con la caracterización de la corte, como en el final del primer acto con el dueto en los jardines de Sara, donde la elección cromática se fundió bien con las melodías donizettianas para definir el clima de la escena, y del sabor vagamente shakesperiano. El único particular que fue para mi incomprensible, sobretodo en un contexto tan atento a los colores, pareció la elección de la tinta de las mascadas, objeto fundamental en el desarrollo de la obra, que tanto en el texto poético como en las indicaciones del libreto viene claramente y repetidamente indicado como celeste y oro, y en este espectáculo se uniformó con los tonos de las escenas y de los vestuarios, privándolo de este modo, y a mi forma de ver, del debido resaltar expresivo. La orquesta dirigida por el maestro Bruno Campanella sonó siempre con elegancia sin nunca sobrepasar las voces y conservando siempre el gusto de un fraseo nunca banal o repetitivo y el cuidado de un sonido siempre suave y rotundo, también en los momentos de fuerte tensión dramática que provee la partitura. La compañía de canto, la que se notó globalmente en un óptimo nivel de profesionalidad, no logró sin embargo, conferirle al espectáculo aquello que permite realizar el pasaje entre alcanzar solo un buen resultado y un triunfo, como le sucedió a la producción anterior. En el papel epónimo, el tenor Gianluca Terranova obtuvo un notable éxito personal. A pesar de no tener una presencia escénica imponente y una recitación sustancialmente correcta pero convencional, se hizo apreciar por la magnifica voz amplia, segura, brillante y por la sentida realización del personaje de Roberto, enteramente basada en su bella vocalidad.
Le Nozze di Figaro - San Francisco Opera
Foto: Danielle de Niese (Susanna) and Luca Pisaroni (Figaro). Photo by Cory WeaverMonday, October 25, 2010
Montezuma de Graun – Festival Internacional Cervantino, México
Fotos: Javier del RealRamón Jacques
La partitura es musicalmente rica y expresiva, con pasajes muy melodiosos y gratos, con la incorporación de metales como los cornos, así como arias (Graun sustituyó muchas arias da capo por cavatinas) y dúos como los reservados para Montezuma y su prometida Eupaforice que son de inmensa belleza y lucidez. La obra tiene como punto débil sus extensos recitativos, fundamentales para la historia teatral, pero que fragmentan la continuidad orquestal reduciéndola por momentos a escenas individuales; y su final que parece irresuelto con la muerte de Montezuma. Por ello, para concluir con un espíritu más jubiloso, el director musical argentino Gabriel Garrido, experto en música barroca hispanoamericana, agregó el “villancico” o cantata coral Albricias Mortales, del compositor mexicano Manuel de Sumaya (1680-1755) maestro de capilla de la catedral de México. La orquesta Concerto Elyma, ejecutó la pieza con instrumentos de época, emitiendo un sonido armonioso, compacto, con una sensación de ligereza y dinámica en las cuerdas, muy satisfactoria, bajo la precisa y exaltada batuta de Garrido.
En su concepción escénica el director mexicano Claudio Valdez Kuri, ofreció una cruda y brutal imagen de la conquista (en los primeros dos actos) con escenas de violencia, sexo y humillaciones al estilo de Calixto Bieito; y la ironía que se vio: por ejemplo en la entrada a escena de los conquistadores con un furioso can, o la sustitución de botellas de agua por botellas de Coca Cola. En el tercer acto, Valdez Kuri, descontextualizó la trama y la situó en una decadente época moderna, con vestuarios modernos, incluso para la orquesta que para este acto se situó sobre el escenario; muchos simbolismos, y movimientos absurdos, con la intención de provocar o irritar al público, como en el Regietheater. La escenografias del belga Herman Sorgeloos, fueron sencillas y austeras, tres pequeñas pirámides movibles (actos I y II) y una columna en el centro del escenario en el III acto, todo con brillante iluminación.
Notable estuvo el contratenor español Flavio Oliver, quien dio vida a un expresivo y afectivo Montezuma, emocionante en sus arias por su flexible, colorida e impecable voz de tonalidad oscura. La soprano mexicana Lourdes Ambriz cantó con calidez y flexibilidad su estrepitoso dúo con Oliver, y su exigente aria acompañada de los cornos, y adecuada fue la prueba de la soprano Lucia Salas con su timbre cristalino y suave como el guerrero Pilpatoé. Los conquistadores españoles fueron recreados por el contratenor rumano Adrián George Popescu, un violento y exagerado Hernán Cortes con voz homogénea de considerable expansión, y el contratenor francés Christophe Carré, un belicoso Narváez de canto estridente. Correctos en sus intervenciones estuvieron el resto de los participantes y el pequeño coro.Wednesday, October 20, 2010
Entrevista con la soprano Marlis Petersen
Fotos: Marlis Petersen; Ophelia de Hamlet - Marty Sohl / Metropolitan Opera House; Lulu - Ken Howard / Metropolitan OperaRamón Jacques
¿Cuándo descubriste que tenias una “voz” para cantar opera y cuando decidiste hacer del canto tu carrera?
Mi escuela primaria fue la primera institución que descubrió mi voz, ya que me hacían cantar pequeñas cosas en conciertos escolares, pero la verdadera “llamada” sucedió cuando entre a cantar a un coro de la iglesia a los 16 años de edad. Adoraba esta música y la manera como se cantaba la música clásica por eso decidí que quería estudiar música. Mis padres no estaban muy contentos con la idea y decidimos que estudiaría músicam, teniendo al piano como instrumento principal, porque ya había aprendido a tocarlo a la edad de 7 años. Tuve éxito en las audiciones en la escuela de música de Stuttgart, pero después de un tiempo me di cuenta que no había nacido para enseñar, así que terminé los cursos básicos y me cambie a la carrera de canto, lo que verdaderamente me dio satisfacción. No había terminado mis estudios cuando me ofrecieron mi primer contrato operístico para cantar en la opera de Nuremberg.
¿A quien no conozca tu voz, como se la definirías?Por la manera como yo la escucho diría que mi voz es de soprano lírica ligera con coloratura, perfecta para Mozart y para todo el repertorio que requiere de una buena dicción y un canto preciso.
¿Qué seria lo primero que te gustaría que te escuchara cantar?
¿Cuántos papeles conforman tu actual repertorio?
Precisamente un papel que te ha dado suerte es el de Lulu de Alban Berg. ¿Cómo nació tu historia musical con el personaje de esta opera? ¿Cómo estudias un papel tan arduo y exigente como el de Lulu?
¿Cómo te sientes cantando los papeles de Susanna en Bodas de Figaro y Ofelia en Hamlet, que has cantando recientemente en Los Angeles y en el Metropolitan, respectivamente?
Amo mucho el papel de Susanna, ya que es una persona muy inteligente, alegre y es quien manipula toda la historia, aun cuando carece de arias importantes como Fígaro, el Conde y la Condesa, pero va durante toda la opera con elegancia y diversión. En el caso de Ophélie en Hamlet, ella es un personaje muy diferente. Es una mujer sensitiva repleta de un profundo amor por Hamlet y tiene que caminar por la vía de dolor, hasta suicidarse. Me encanta poner esta maravillosa variedad de cualidades sobre un escenario y tratar de encontrar todas estas características en mi misma para ofrecérselas al público.
¿Que sopranos consideras que han sido para ti un referente? ¿Que tipo de directores musicales consideras que te hacen dar lo mejor de ti cuando cantas?
Respecto a directores musicales, me encanta trabajar con personalidades que tienen el don de extraer mente y espíritu y mezclarlo con musicalidad y profunda percepción. Si la manufactura es de alta calidad, entonces ¡me encuentro como en un paraíso!
¿Existe alguna producción escénica que resalte en tu memoria?
¿Cuáles consideras que han sido los momentos más difíciles de tu carrera? Mi plan para el futuro es poder encontrar un balance entre mi vida profesional y mi vida privada, eso significa cantar una opera menos por año, y hacer mas recitales y conciertos, eso seria un primer paso. Pero siempre existirán roles y operas que despertaran mi entusiasmo, por ejemplo: Manon, del repertorio francés, Sandrina de la Finta Giardinera de Mozart, Alcina de Händel, y La Traviata la cual interpretaré próximamente en Graz, Austria. ¡Espero que todo salga bien!
Gardiner inaugura la temporada de conciertos de Lingotto 2010-2011 en Turín
Foto: Pasquale Juzzolino / Associazione Lingotto MusicaGardiner inaugura I Concerti del Lingotto 2010-2011
Concerto - Orquesta Sinfónica Nacional de México, Messico
Ramón Jacques
L’Orquesta Sinfónica Nacional de México, sotto la direzione del direttore spagnolo José Luís Castillo ha eseguito un interessante concerto con un programma misto. Fedele al suo principio di diffondere e interpretare opere di compositori messicani, l’orchestra ha esguito due brevi pezzi di Silvestre Revueltas (1899-1940), prolifico compositore morto a 41 anni del quale Castillo si considera uno studioso e un diffusore della sua musica inedita. Abbiamo ascoltato così Itinerarios un intenso brano orchestrale dal carattere drammatico, dove si alternavano delle corpose pagine di ottoni, agitati passaggi di archi, una contemplativa elegia quasi magica, dov’era un dialogo tra il sassofono e l’arpa, per concludere con un poderoso finale di trombe. La seconda opera era Un canto de guerra de los frentes leales, un inno marziale eseguito dagli ottoni e dal piano, scritto nel 1938 in solidarietà colla causa repubblicana, ispirato da un viaggio in Spagna nel periodo della guerra civile. Il maestro valenciano ha diretto i due brani con convinzione, mettendo in risalto l’inconfondibile modernità dell’orchestrazione del compositore. Il giovane violoncellista russo Dmitry Volkov ha interpretato due brani di Ciaikovsky, il gradevole e romantico Pezzo capriccioso per violoncello e orchestra, Op 62, e le Variazioni su un tema rococò, Op. 33. In quest’ultimo brano la direzione sicura di Castillo ha permesso libertà di espressione e effetti coloristici all’orchestra, creando così una cornice adeguata alla suggestiva interpretazione del solista. Da parte sua il violoncellista emanava dal suo strumento l’espressività e la destrezza necessarie, scambiandosi di continuo con l’orchestra i temi di carattere, quelli elegiaci, quelli cortesi. Nella Sinfonía no.1 in mi minore, Op 39 di Jean Sibelius abbiamo apprezzato l’equilibrio tra momenti contrastanti di esaltazione e pace, le influenze russe, il carattere malinconico, in un lavoro di cesello dell’orchestra e del direttore, che ha concluso con una sottigliezza di particolari ammirevole il Finale quasi una fantasia, assai lontano dai finali tradizionali.
Monday, October 18, 2010
Inauguración de la Temporada 2010-2011 de la Orquesta Sinfónica de Boston dirigida por James Levine
Foto: Michael J. LutchLloyd Schwarz
¡Volvió James Levine! para dirigir a la Orquesta Sinfónica de Boston (BSO).
Saturday, October 16, 2010
Entrevista a la mezzosoprano Laura Polverelli
Foto: Maria Stuardo; Idamante - Teatro alla Scala- Marco Brescia, Archivio Fotografico del Teatro alla Scala; Idamante - Stresa Festival 2010 - Andrea Saachi KS Renzo Bellardone
Desde muy pequeña me atrajo todo tipo de música y en mi familia ninguno era músico, pero mi padre en un gran apasionado de la canción italiana histórica. Habían siempre discos en casa y en ocasiones también de arias de opera. Fui “incitada” por el para iniciar el estudio de la música, con el piano, a la edad de seis años. Quizás porque habría entendido que yo tenia una don especial. En aquel periodo formé también parte de un coro polifónico, sacro y profano, ya que cantábamos cantos populares y tradicionales de Siena, y al poco tiempo fui elegida para hacerla de solista. Mientas crecía, muchas personas, después de haberme escuchado en conciertos locales en los que me exhibí con obras solistas, me aconsejaron estudiar canto, impresionados por la seguridad de mi voz, pero yo absolutamente no quería porque era una pianista snob, convencida que los cantantes no eran verdaderos músicos. Una vez que concluí la escuela superior y de recibir mi diploma como pianista, un poco por diversión inicie a tomar lecciones de canto de una profesora polaca que vive en Siena. Me interesaba la liederistica, y un poco el barroco, pero nada del verdadero melodrama!. De ahí pase a adorar a Mozart, a Monterverdi, a Rossini y a Handel, que ¡no se como explicarlo! pero sucedió. Por ello me lancé al estudio en los cursos en la Chigiana, en concursos, hasta ir a Munich en Bavaria par tomar una Meisterklasse de dos años con especialización en oratorio y lieder. Una ve que gané mis primeros concursos y debuté en Treviso fui contratada como cantante fija en Bonn por Giancarlo del Monaco quien era entonces el sobre intendente que ¡desaparecí!
Mi próximo debut es en la Staatsoper de Viena, donde debutaré no solo en el teatro sino el papel de Maffio Orsini en Lucrezia Borgia. Un papel que había rechazado por que es demasiado grave, pero después de estudiarlo me encuentro bien con el. Después concluiré el año retornando a mi adorado Pergolesi, del que este verano canté el Flaminio, y en Nápoles retomaré el papel de Licida en l’Olimpiade, un papel que interprete hace algunos años en el Festival de Jesi. Por lo tanto, después de un nuevo papel de Donizetti, se viene un regreso al barroco. Así es mi vida.
Es justamente esta ausencia de obviedad la que ha caracterizado mi recorrido artístico, pero una búsqueda continua, un no considerarme nunca bastante lista o preparada, unas ganas de descubrir papeles y autores, y un deseo de volver hacia atrás. Un camino siempre difícil y nunca reducido.
Si, por supuesto que lo volvería a hacer. Tal vez no cometería algunos errores de la juventud como por ejemplo: el no haber sabido aprovecharme de algunas oportunidades, o de no haber cantado bastante bien en algunas ocasiones importantes. En volveria a hacer todo, pero mejor.
¡Gracias, Laura Polverelli por esta entrevista y buena suerte para todo!
Friday, October 15, 2010
"Celebremos America" con Wynton Marsalis y la Jazz at Lincoln Center Orchestra
Fotos: Wynton Marsalis; Jazz at Lincoln Center OrchestraEl destacado trompetista estadounidense Wynton Marsalis se presentó al lado de su orquesta la Jazz at Lincoln Center Orchestra en el Auditorio Nacional de México, en un programa llamado “Celebremos America” que contó con la presencia de destacados interpretes del jazz latino como: Paquito D’Rivera, Diego Urcola, Edmar Castañeda, Oscar Stagnaro, el baterista mexicano Antonio Sánchez, y el pianista español Chano Domínguez y su grupo de flamenco. El rico programa que se interpretó en esta ocasión demostró que en la música no existen las fronteras y que estilos tan diversos como: el jazz, el swing, el blues, el flamenco el bolero y el tango pueden fusionarse y pueden tener un punto de encuentro en común, máxime cuando se interpreta por talentosos musicos En el concierto se interpretaron movimientos seleccionados de la Suite Victoria, que el propio Marsalis compuso para una de sus participaciones en el festival de Jazz de Victoria en el país vasco, su versión de swing con ritmos de la música flamenca y bulerias, en la que se escuchó la exuberancia y el sonido homogéneo de la sección de metales (saxofones, trompetas, trombones), en el que resaltó el dominio que el propio músico tiene sobre su instrumento. A continuación se escuchó la obra De Cádiz a Nueva Orleans, con la participación del pianista gaditano Chano Domínguez, sus cantadores y percusionistas de flamenco y el acompañamiento de Marsalis y su Jazz orchestra.
Una alegre y armoniosa fusión de dos estilos, el flamenco y el swing, con un toque más español. En un tablado al frente del escenario, el bailador de flamenco Daniel Navarro, y el bailarín de tap Jared Grimes mostraron que en el baile también pueden combinarse estilos, y este “duelo” ocurría con el acompañamiento de la pieza. Wynton Marsalis cedió el escenario a sus invitados: encabezados por Paquito D’Rivera y Chano Domínguez, y los ya mencionados jazzistas latinos, quienes interpretaron sus adaptaciones de piezas como: Libertango de Piazzola, la canción chilena Yo vendo unos ojos negros, las mexicanas la Llorona, Adelita, así como la argentina Alfonsina y el Mar de Ariel Ramírez. Una vez más volvieron al escenario Marsalis y sus músicos, y todos juntos interpretaron Contigo Aprendí de Armando Manzanero y Estrellita de Manuel M. Ponce, para concluir con un extraordinario y magistral tributo a la música de Duke Ellington, como solo Marsalis, su trompeta y su orquesta podrían ofrecer. JRClase y maestria de Gustav Leonhardt al clavecín en la X edición del Festival Pergolesi Spontini, Italia
Foto: BinciMonte San Vito (AN) Teatro La Fortuna
(venerdì 17 settembre 2010)
Clase y maestria de Leonhardt al clavecín
Thursday, October 14, 2010
El Elixir de Amor de Donizetti en la Scala de Milán
Foto: Marco Brescia & Rudy Amisano, archivo Fotografico del Teatro alla Scala
Por lo tanto, se trató de un Dulcamara que aturdió a los transeúntes con un volumen considerable, pero con una expresión en la cara que no lo hacia parecer tan sinvergüenza como frecuentemente se ha acostumbrado a representarlo. La prestación de Gabriele Viviani fue en crescendo, como un simpático Belcore de timbre franco y directo, y con una entonación no perfectamente a fuego en su aria de salida. Donato Renzetti guió al optimo conjunto scaligero (¡el coro ha estado esplendido en esta ocasión!) sin particular fantasía, remarcando principalmente la brillantez de la partitura, pero en perjuicio de su alma mas intima y elegiaca. L'elisir d'amore - Teatro alla Scala, Milano
Foto: Marco Brescia & Rudy Amisano, Archivio Fotografico del Teatro alla ScalaMassimo Viazzo
Revueltas, Tchaikovsky y Sibelius con la Orquesta Sinfónica Nacional de México
Ramón Jacques

