(venerdì 18 marzo 2011- (Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Comunale Alighieri di Ravenna, Fondazione Teatro Comunale Pavarotti di Modena)
Un gioco d’intrighi e di affetti su una scacchiera di passioni e vendette
Giosetta Guerra
A dire il vero intrighi e vendette, affetti e passioni non sarebbero stati comprensibili senza la conoscenza della storia e senza il supporto della musica, visto che in scena tempi e luoghi dell’azione non rispecchiavano quelli della vicenda, mancavano i sopratitoli e gli ambienti non erano proprio definiti. In palcoscenico lo scenografo Michele Ricciarini ha posto un muro con sagome egizie (la cui base ogni tanto si apriva), una passerella orizzontale sopra una pedana verde nella prima parte e un enorme braciere pieno di non so cosa nella seconda parte. Il regista Alessio Pizzech ha spostato la vicenda in periodo coloniale (lo si è capito dalle sahariane indossate dai guerrieri romani), contaminandolo con aree geografiche ed etnie diverse (lo si è capito dai costumi femminili e da certi mascheroni in tenuta tribale che giravano attorno ai protagonisti), ha vagheggiato ambienti simbolici con proiezioni incomprensibili, dello scontro tra Romani ed Egizi ha rappresentato il momento iniziale con una rumorosa caduta di libri (bella idea) e quello finale con una distesa di cadaveri fra i quali si aggirava Cleopatra con flebo su sedia a rotelle (idea discutibile), ha ben assemblato gestualità e carattere dei personaggi, sempre armati di fucile o di pistola. Alla fine il regista è stato contestato. Cristina Aceti ha ideato costumi molto belli, di fogge e stili differenti, eleganti e colorati per le donne e per l’eunuco, austeri e a tinta unita per gli uomini (prima beige poi neri), Marco Cazzola ha dato le luci (a volte poco). Il gioco è stato invece comprensibile per via musicale e la perfetta macchina drammatica creata da Georg Friederch Haendel (compositore) e Nicola Francesco Haym (librettista) ha trovato il suo motore nella lettura di Ottavio Dantone, raffinato e rigoroso interprete della musica barocca, maestro al cembalo e direttore dell’Accademia Bizantina di Ravenna, il cui suono è sempre duttile e variegato pur nella sua densità e compattezza, e in una compagnia di canto specializzata nella musica del ‘700 e nella prassi esecutiva barocca. Tutte le arie hanno un’introduzione ed una chiusura orchestrale, che esprimono la poetica degli affetti, alcune arie di tutti i personaggi, tranne quelle di Cesare, sono state tagliate, forse per accorciare l’opera, che in questa versione dura già tre ore piene. La superba scrittura vocale e i virtuosismi canori non sono stati un problema per le voci femminili e per i due bassi, qualche appunto si può fare per i tre controtenori. Il contralto Sonia Prina ha un corpo vocale di rilievo, di timbro scuro, adatto per i ruoli maschili, una voce duttile, che le permette di saltare agevolmente dagli affondi gravi agli slanci acuti vigorosi attraverso la fittissima sillabazione del canto virtuosistico, una grande tecnica per cui il canto di coloratura e i tempi rapidi delle arie di bravura non le creano alcun problema.
Giosetta Guerra
A dire il vero intrighi e vendette, affetti e passioni non sarebbero stati comprensibili senza la conoscenza della storia e senza il supporto della musica, visto che in scena tempi e luoghi dell’azione non rispecchiavano quelli della vicenda, mancavano i sopratitoli e gli ambienti non erano proprio definiti. In palcoscenico lo scenografo Michele Ricciarini ha posto un muro con sagome egizie (la cui base ogni tanto si apriva), una passerella orizzontale sopra una pedana verde nella prima parte e un enorme braciere pieno di non so cosa nella seconda parte. Il regista Alessio Pizzech ha spostato la vicenda in periodo coloniale (lo si è capito dalle sahariane indossate dai guerrieri romani), contaminandolo con aree geografiche ed etnie diverse (lo si è capito dai costumi femminili e da certi mascheroni in tenuta tribale che giravano attorno ai protagonisti), ha vagheggiato ambienti simbolici con proiezioni incomprensibili, dello scontro tra Romani ed Egizi ha rappresentato il momento iniziale con una rumorosa caduta di libri (bella idea) e quello finale con una distesa di cadaveri fra i quali si aggirava Cleopatra con flebo su sedia a rotelle (idea discutibile), ha ben assemblato gestualità e carattere dei personaggi, sempre armati di fucile o di pistola. Alla fine il regista è stato contestato. Cristina Aceti ha ideato costumi molto belli, di fogge e stili differenti, eleganti e colorati per le donne e per l’eunuco, austeri e a tinta unita per gli uomini (prima beige poi neri), Marco Cazzola ha dato le luci (a volte poco). Il gioco è stato invece comprensibile per via musicale e la perfetta macchina drammatica creata da Georg Friederch Haendel (compositore) e Nicola Francesco Haym (librettista) ha trovato il suo motore nella lettura di Ottavio Dantone, raffinato e rigoroso interprete della musica barocca, maestro al cembalo e direttore dell’Accademia Bizantina di Ravenna, il cui suono è sempre duttile e variegato pur nella sua densità e compattezza, e in una compagnia di canto specializzata nella musica del ‘700 e nella prassi esecutiva barocca. Tutte le arie hanno un’introduzione ed una chiusura orchestrale, che esprimono la poetica degli affetti, alcune arie di tutti i personaggi, tranne quelle di Cesare, sono state tagliate, forse per accorciare l’opera, che in questa versione dura già tre ore piene. La superba scrittura vocale e i virtuosismi canori non sono stati un problema per le voci femminili e per i due bassi, qualche appunto si può fare per i tre controtenori. Il contralto Sonia Prina ha un corpo vocale di rilievo, di timbro scuro, adatto per i ruoli maschili, una voce duttile, che le permette di saltare agevolmente dagli affondi gravi agli slanci acuti vigorosi attraverso la fittissima sillabazione del canto virtuosistico, una grande tecnica per cui il canto di coloratura e i tempi rapidi delle arie di bravura non le creano alcun problema.
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