Foto: Armin Bardel & Robert Millard
Ramón Jacques
Il Regietheater tanto di moda in Germania comincia al momento ad essere rappresentato, nella sua forma più conservatrice, sempre più frequentemente nei teatri d’opera statunitensi. Grazie alla sua vicinanza e alla stretta collaborazione con il mondo del cinema di Hollywood, la Los Angeles Opera è la compagnia nordamericana che ha mostrato una maggiore apertura nell’offrire spettacoli non tradizionali e anche controversi, spesso ideati da registi cinematografici ed europei. Pertanto, per la prima locale de Il Turco in Italia di Rossini (opera poco rappresentata e praticamente sconosciuta a queste latitudini) per renderlo più piacevole e divertente si è importata la produzione che Christof Loy e Herbert Maurauer hanno ideato per l’Opera di Stato di Amburgo. Qui, la vicenda viene collocata in un campo nomadi a Napoli degli anni ‘60, in uno scenario composto da pochi elementi, con abiti correttamente allusivi a quel tempo. Un buon disegno delle luci e la scelta delle tonalità coloristiche hanno reso la messa in scena molto attraente per lo spettatore. La conduzione di Axel Weidauer, era diretta e di giusta comicità, senza esagerazioni, ma con un tocco di assurdo in quei personaggi che continuamente si spostavano da un alto all’altro del palcoscenico con movimenti lenti e cadenzati, al fine di distrarre il pubblico dalla scena centrale e ad irritarlo. Sulla carta il cast vocale sembrava solido, ma nonostante una buona prestazione esibita, per il fatto di non essere cantanti specializzati nel repertorio rossiniano, l’opera a volte mancava della tipica parte pirotecnica e di fuochi d’artificio.
Il soprano Nino Machaidze è stata una simpatica, gentile e capricciosa Donna Fiorilla esibendo voce lieve di timbrica cristallina e vocalmente agile. Da parte sua il tenore Maxim Mironov era il cantante che si mostrava più rossiniano in quanto a timbro, calore e flessibilità, anche se dal punto di vista attoriale non pareva intendere il ruolo che a Narciso era destinato in questa intricatissima trama. Il baritono Paolo Gavanelli ha cantato a volte con troppa forza e ha creato un Don Geronio nevrotico. Ridicolo e farsesco, ma molto attivo sul palco è stato il leggendario baritono inglese Sir Thomas Allen nella parte del poeta Prosdocimo. Il mezzosoprano Kate Lindsey ha cantato correttamente il ruolo di Zaide, ma è parsa un po’ sovraccaricata, e Simone Alberghini, che ha esibito una voce robusta e timbrata, ha divertito il pubblico con la sua caratterizzazione di un Selim sfacciato e spudorato. Non abituato a dirigere opere liriche del bel canto, James Conlon ha condotto l’orchestra con sicurezza e buon dinamismo, estraendo musicalità ed effervescenza dalla partitura.
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