Ottavio Dantone mùtila senza sensi di colpa il capolavoro di Händel Giulio Cesare l'essenziale
Athos Tromboni
FERRARA - Se dovessimo descrivere con una frase telegrafica l'opera Giulio Cesare in Egitto di Georg Friedrich Händel, andata in scena con un nuovo allestimento in prima nazionale nel Teatro Comunale di Ferrara, la frase sarebbe questa: Giulio Cesare l'essenziale. La recita è stata preceduta dalla comparsa, sul proscenio, del direttore del teatro, Marino Pedroni, e del presidente, Fabio Mangolini, che hanno fatto un appello contro i tagli alla cultura perpetrati dal Governo Berlusconi. Poi Ottavio Dantone, sul podio della sua Accademia Bizantina, ha dato il via alla musica per la messa in scena dell'opera. Perché essenziale? Questa coproduzione dei teatri di Ferrara, Ravenna (teatro Alighieri) e Modena (teatro Pavarotti) si svolge in poco più di tre ore, a fronte delle 3 ore e 40 minuti circa dell'opera intera. Le parti espunte sono state scelte equamente fra recitativi, cori e arie. Anzi i cori sono stati tolti del tutto, ma Dantone ha eliminato anche arie importanti come Venere bella per un istante (Cleopatra) o Quel torrente che cade dal monte (Cesare) e fatto l'accorciamento dei virtuosismi previsti per Se in fiorito ameno prato dove Cesare rivaleggia col violino solista in trilli, cadenze e messa di voce. Operazione necessaria forse, per snellire lo spettacolo, ma non pedissequa, perché lo stesso Händel nelle riprese dell'opera per gli anni successivi al 1724, rimaneggiò, aggiunse e tolse arie importanti (tolse, ad esempio, quella di Nireno e quella di Curio). Per cui non grideremo allo scandalo. Andando alla sostanza dell'esecuzione, bisogna riconoscere il buon lavoro fatto dal direttore con la sua Accademia Bizantina, perché la parte strumentale ha sostenuto veramente il canto; e se nelle arie o negli ariosi a tempo di Adagio o Largo il canto da solo sarebbe parso monotono e ripetitivo, la musica che lo sorreggeva era talmente bella e così ben eseguita da scacciare la noia da overdose dei da capo. In particolare gli archi hanno reso un ottimo servizio allo spettacolo; cavillando un qualche appunto critico, additeremmo i corni coi ritorti, tipici barocchi, per alcune note non perfettamente sintoniche col canto. La regia di Alessio Pizzech ha plasmato una gestualità più tarata sulla danza che sul realismo prosastico, andando a descrivere gli "affetti" dei personaggi piuttosto che il loro agire. Bellissima, sotto questo aspetto. Tutto il primo atto ha come parete divisoria del palcoscenico e del retro-palcoscenico un muro con l'iconografia egizia in rilievo, una grande porta centrale e sul davanti un lungo camminamento a ponticello, quasi fosse il simbolico trait d'union fra l'Africa nera più tribale e la civiltà della razza bianca mediterranea.
FERRARA - Se dovessimo descrivere con una frase telegrafica l'opera Giulio Cesare in Egitto di Georg Friedrich Händel, andata in scena con un nuovo allestimento in prima nazionale nel Teatro Comunale di Ferrara, la frase sarebbe questa: Giulio Cesare l'essenziale. La recita è stata preceduta dalla comparsa, sul proscenio, del direttore del teatro, Marino Pedroni, e del presidente, Fabio Mangolini, che hanno fatto un appello contro i tagli alla cultura perpetrati dal Governo Berlusconi. Poi Ottavio Dantone, sul podio della sua Accademia Bizantina, ha dato il via alla musica per la messa in scena dell'opera. Perché essenziale? Questa coproduzione dei teatri di Ferrara, Ravenna (teatro Alighieri) e Modena (teatro Pavarotti) si svolge in poco più di tre ore, a fronte delle 3 ore e 40 minuti circa dell'opera intera. Le parti espunte sono state scelte equamente fra recitativi, cori e arie. Anzi i cori sono stati tolti del tutto, ma Dantone ha eliminato anche arie importanti come Venere bella per un istante (Cleopatra) o Quel torrente che cade dal monte (Cesare) e fatto l'accorciamento dei virtuosismi previsti per Se in fiorito ameno prato dove Cesare rivaleggia col violino solista in trilli, cadenze e messa di voce. Operazione necessaria forse, per snellire lo spettacolo, ma non pedissequa, perché lo stesso Händel nelle riprese dell'opera per gli anni successivi al 1724, rimaneggiò, aggiunse e tolse arie importanti (tolse, ad esempio, quella di Nireno e quella di Curio). Per cui non grideremo allo scandalo. Andando alla sostanza dell'esecuzione, bisogna riconoscere il buon lavoro fatto dal direttore con la sua Accademia Bizantina, perché la parte strumentale ha sostenuto veramente il canto; e se nelle arie o negli ariosi a tempo di Adagio o Largo il canto da solo sarebbe parso monotono e ripetitivo, la musica che lo sorreggeva era talmente bella e così ben eseguita da scacciare la noia da overdose dei da capo. In particolare gli archi hanno reso un ottimo servizio allo spettacolo; cavillando un qualche appunto critico, additeremmo i corni coi ritorti, tipici barocchi, per alcune note non perfettamente sintoniche col canto. La regia di Alessio Pizzech ha plasmato una gestualità più tarata sulla danza che sul realismo prosastico, andando a descrivere gli "affetti" dei personaggi piuttosto che il loro agire. Bellissima, sotto questo aspetto. Tutto il primo atto ha come parete divisoria del palcoscenico e del retro-palcoscenico un muro con l'iconografia egizia in rilievo, una grande porta centrale e sul davanti un lungo camminamento a ponticello, quasi fosse il simbolico trait d'union fra l'Africa nera più tribale e la civiltà della razza bianca mediterranea.
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