Massimo Viazzo
Doveva essere il Boccanegra di Domingo e per Placido si è trattato di un vero trionfo! Dopo l’intervento a cui è stato sottoposto un paio di mesi fa si temeva per la sua salute e invece… eccolo lì, il tenorissimo, sul palcoscenico del Teatro alla Scala a dominare la scena dall’alto di quel carisma che l’ha sempre fatto amare dal suo pubblico. Placido Domingo ritrae un doge autorevole, ma sfaccettato che sa anche intenerirsi e commuovere, in un allestimento tutto sommato abbastanza anonimo e innocuo coprodotto con la Staatsoper unter den Linden di Berlino e curato da Federico Tiezzi (perfino l’entrata dei popolani nella Sala del Consiglio è risultata scenicamente fiacca). Certo, vocalmente a questo Simone manca il colore baritonale e soprattutto negli insiemi, come lo splendido finale del secondo atto, l’equilibrio fonico tra i registri viene compromesso, ma Placido, intelligentemente, non tenta di manipolare il proprio strumento vocale scurendolo artificialmente puntando invece sempre su musicalità e naturalezza. Sontuosa, al suo fianco, l’Amelia di Anja Harteros, appassionata nel fraseggio, sicura e fermissima negli acuti, in grado di emozionare anche per mezzo di un colore vocale caldo e luminoso. Spavaldo, anche se non variegatissimo in quanto a linea musicale, il Gabriele Adorno di Fabio Sartori, ancora carismatico nonostante un palese prosciugamento timbrico Ferruccio Furlanetto come Fiesco e non molto rifinito il Paolo Albiani di Massimo Cavalletti.
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