Foto: Anton Kuerti- Budapest Festival Orchestra- Iván Fischer - Associazione Lingotto Musica, Pasquale Juzzolino
Massimo Viazzo
E’ energico, gioioso, brillante il Beethoven di Iván Fischer. Chi conosce lo stile del direttore ungherese – in concerto all’Auditorium del Lingotto con la sua strabiliante creatura, quella Budapest Festival Orchestra da lui fondata ventotto anni fa – non si aspettava certo una lettura misurata, né tantomeno rilassata. Fischer affronta le partiture con carisma debordante, lucidità nella visione strutturale, fantasia di fraseggio, inesauribile vigoria ritmica, il tutto sostenuto da una rifinita tecnica direttoriale che gli permette di evitare sbavature negli attacchi o nelle chiusure, sempre millimetricamente precisi. Così fin dalle prime battute dell’Ouverture da Le creature di Prometeo (unico brano rimasto nel repertorio corrente delle musiche composte per il balletto di Salvatore Viganò) ci accorgiamo che il Beethoven di questa sera parla una lingua diretta, schietta, senza ipocrisie o psicologismi. E’ un Beethoven immediato, aperto, di solarità contagiosa, mai frenetico e il lavorio incessante delle parti interne lo rende turbinoso da rasentare la vertigine. E così finalmente si è potuta ascoltare una Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore, spesso considerata alla stregua di una “sorella” minore, sprizzante joie de vivre ed esuberanza. E anche il Concerto in sol maggiore ha trovato una definizione a più ampio respiro sinfonico con l’orchestra – una Budapest Festival Orchestra duttilissima e compatta – che non si è mai limitata al mero accompagnamento. E’ difficile sentire un secondo tema dell’Allegro moderato iniziale (quando viene enunciato nella tonalità di re minore dalla sola orchestra) così parlante e ad un tempo elettrizzante. Per contro la prova del settantaduenne pianista canadese di origine austriaca Anton Kuerti pur apprezzabile per scavo intimo, bel cantabile e delicatezza di tocco, non è riuscita convincere appieno per un approccio tecnico, tutto sommato, troppo “digitale”.
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