Foto Brescia & Amisano
Massimo Viazzo
Nell’ambito degli scambi musicali tra il Teatro alla Scala e la Wiener Staatsoper, drasticamente ridotti a causa della diminuzione del budget a disposizione (in origine la Staasoper doveva portare a Milano due recite di Arabella di Richard Strauss più un concerto sinfonico) è andato in scena Fidelio in forma di concerto, una delle icone del teatro musicale austriaco. Franz Welser-Möst ha diretto i complessi di cui è Direttore Generale con padronanza ed eleganza del gesto, analisi della partitura, ma tutto sommato con una personalità non spiccata. Questo Fidelio scaligero non ha elettrizzato, e non ha neanche saputo commuovere. La sola Leonora n. 3, eseguita come da tradizione prima dell’ultimo quadro dell’opera, è parsa trascinante al punto giusto, pur con qualche sbandamento e imprecisione (i corni non sono sembrati per nulla in serata) notati nel corso un po’ di tutta la serata. Insomma, un’esecuzione che non ha saputo elevarsi al di sopra di una buona routine. parzialmente riscattata da un cast abbastanza omogeneo. Luminosa, salda di emissione, combattiva era la Leonora di Nina Stemme; un po’ in difficoltà, invece, è parso Peter Seiffert nella breve, ma impervia parte di Florestano. Bieco, cattivissimo il Pizzarro di Albert Dohmen, di emissione ferma e dalla dizione scolpita, mentre un caldo e comunicativo Hans-Peter König impersonava un Rocco paterno e protettivo. Adeguata anche la coppia più “leggera”: Anita Hartig interpretava una vivace Marcellina, mentre Norbert Ernst era un Jaquino di linea molto musicale. A Markus Marquardt, pur generalmente apprezzabile, mancava, invece, un po’ di quella nobiltà d’accento che il ruolo di Don Fernando richiederebbe. Ottima, infine, la prestazione del Coro.
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