Foto: Andrea Sacchi /KS
Massimo Viazzo
La connaturalità che esiste fra Gianandrea Noseda, direttore artistico qui a Stresa, e la musica slava è già stata più volte sottolineata in sede critica. Noseda predilige questo repertorio, intanto, per motivi affettivi legati agli anni di apprendistato a S. Pietroburgo (con Valery Gergiev) e, poi, per una naturale inclinazione verso il canto disteso ancorché malinconico, verso le atmosfere pittoriche proprie della musica a programma condite da ritmi danzanti ed eccitanti. E’ così che la sua Ottava di Dvořák, già ascoltata qualche mese fa a Milano, al Teatro alla Scala, risultava dirompente per carica espressiva, elettrizzante nell’accumulazione ritmica, ma anche nostalgica (i richiami alla Rušalka all’inizio del secondo movimento mai sono apparsi così manifesti) e giustamente epica con gli ottoni del complesso scaligero in buona evidenza. Insomma, un’interpretazione fatta di musicalità e istinto. Noseda galvanizzava l’Orchestra Filarmonica delle Scala anche nell’Ouverture de Il franco cacciatore di Carl Maria von Weber, un brano eseguito con la consapevolezza della vicenda narrata nell’opera, ma reso con la coerenza del poema sinfonico autonomo, tra atmosfere fatate e demoniache, e perorazioni esaltanti. Il maestro milanese è un narratore instancabile e con queste pagine si trova davvero a meraviglia. Nella prima parte del concerto Gianandrea Noseda non si era limitato ad accompagnare Leif Ove Andsnes nel Primo Concerto beethoveniano, ma cercando un costante dialogo tra la compagine orchestrale e il pianoforte aveva saputo creare un clima di giovialità e cordialità molto comunicativo. Ed il pianista norvegese, da par suo, entusiasmava letteralmente il pubblico dello Stresafestival con un’esecuzione tecnicamente impeccabile, elegantissima, di fine gusto timbrico. In tal senso era da incorniciare il secondo movimento del concerto, Largo, dai contorni nitidi e dai riflessi perlati. Ovazioni a non finire al termine della sua performance coronata dal Grande Valse op. 42 in la bemolle maggiore di Chopin, un bis suonato in souplesse. Ma anche Noseda al termine della serata concedeva un entusiasmante bis, la Danza ungherese n. 5 di Johannes Brahms.
Massimo Viazzo
La connaturalità che esiste fra Gianandrea Noseda, direttore artistico qui a Stresa, e la musica slava è già stata più volte sottolineata in sede critica. Noseda predilige questo repertorio, intanto, per motivi affettivi legati agli anni di apprendistato a S. Pietroburgo (con Valery Gergiev) e, poi, per una naturale inclinazione verso il canto disteso ancorché malinconico, verso le atmosfere pittoriche proprie della musica a programma condite da ritmi danzanti ed eccitanti. E’ così che la sua Ottava di Dvořák, già ascoltata qualche mese fa a Milano, al Teatro alla Scala, risultava dirompente per carica espressiva, elettrizzante nell’accumulazione ritmica, ma anche nostalgica (i richiami alla Rušalka all’inizio del secondo movimento mai sono apparsi così manifesti) e giustamente epica con gli ottoni del complesso scaligero in buona evidenza. Insomma, un’interpretazione fatta di musicalità e istinto. Noseda galvanizzava l’Orchestra Filarmonica delle Scala anche nell’Ouverture de Il franco cacciatore di Carl Maria von Weber, un brano eseguito con la consapevolezza della vicenda narrata nell’opera, ma reso con la coerenza del poema sinfonico autonomo, tra atmosfere fatate e demoniache, e perorazioni esaltanti. Il maestro milanese è un narratore instancabile e con queste pagine si trova davvero a meraviglia. Nella prima parte del concerto Gianandrea Noseda non si era limitato ad accompagnare Leif Ove Andsnes nel Primo Concerto beethoveniano, ma cercando un costante dialogo tra la compagine orchestrale e il pianoforte aveva saputo creare un clima di giovialità e cordialità molto comunicativo. Ed il pianista norvegese, da par suo, entusiasmava letteralmente il pubblico dello Stresafestival con un’esecuzione tecnicamente impeccabile, elegantissima, di fine gusto timbrico. In tal senso era da incorniciare il secondo movimento del concerto, Largo, dai contorni nitidi e dai riflessi perlati. Ovazioni a non finire al termine della sua performance coronata dal Grande Valse op. 42 in la bemolle maggiore di Chopin, un bis suonato in souplesse. Ma anche Noseda al termine della serata concedeva un entusiasmante bis, la Danza ungherese n. 5 di Johannes Brahms.
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