Foto: Teatro alla Scala Milan credit: Lucie Jansch
Massimo Viazzo
Il secondo capitolo della trilogia monteverdiana targato Robert Wilson, approdato al Teatro alla Scala in coda all’attuale stagione, ha sostanzialmente confermato le impressioni non completamente positive suscitate da L’Orfeo un paio di stagioni fa, a fronte di uno spettacolo indubbiamente elegante e suggestivo dal punto di vista visivo. Una scena sostanzialmente vuota caratterizzata da pochi elementi geometrici e illuminata da luci fredde, immette subito lo spettatore nel mondo irreale ed onirico tipico del regista americano. I movimenti sono lenti, l’importanza dei gesti effettuati con le mani diventa basilare, e l’azione drammatica è praticamente assente. Tutto si svolge in una clima di astrattezza ed illusione con i personaggi quasi imprigionati nei loro costumi a vivere la vicenda solo interiormente. Ma Il Ritorno di Ulisse in Patria è un’opera di “carne e sangue”, di grandi emozioni, e anche di scene teatralmente potenti, come ad esempio la scena della “prova dell’arco”, parsa qui veramente troppo stilizzata. Per fortuna ci ha pensato un cast di altissimo livello a scaldare il pubblico scaligero, non proprio abituato a questo repertorio. Furio Zanasi ha impersonato un Ulisse da antologia, cantato divinamente, con una cura estrema della dizione e del fraseggio. Con lui ogni parola, ogni frase sembrano acquistare musicalità nuova: un vero maestro nell’arte del recitar cantando! Sara Mingardo è stata una superba Penelope, dolente e commossa, di timbro brunito, di emissione omogenea e di accento fiero. Tutti apprezzabili gli altri: la fascinosa Melanto di Monica Bacelli, la materna Ericlea di Marianna Pizzolato, il comunicativo Eumete di Luca Dordolo, il tonante Nettuno di Luigi di Donato, il solido Telemaco di Leonardo Cortellazzi, la estroversa Minerva di Anna Maria Panzarella. Rinaldo Alessandrini ha guidato l’ottimo Concerto Italiano con grande coerenza stilistica, plasmando un basso continuo non ridondante, ma di rara forza espressiva.
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