Foto: Davide Burani.
Massimo Crispi
Davide Burani è uno dei più noti e apprezzati arpisti delle ultime generazioni in Italia e all’estero. La sua attività concertistica e didattica è densissima di impegni e di proposte insolite, e, tra le tante cose, Davide è anche direttore artistico di due rassegne musicali: “Lungo le antiche sponde” e “Musica a San Michele”, entrambe nella nativa Modena. Davide trasmette un grande entusiasmo quando parla della musica e della maniera di fruirla, di trasmetterla, di insegnarla. Davide ha suonato e suona in importanti orchestre italiane ed europee, sotto la direzione di Alain Lombard, Michail Pletnev, Zoltan Pesko, ha creato spettacoli con le attrici Paola Gassman, Monica Guerritore, Lella Costa, in un’attività senza sosta, e la quantità di concerti, nelle formazioni più varie, con cantanti, attori, strumentisti, opere, lezioni che occupano la sua vita professionale è inimmaginabile.
Davide, tu sei diplomato in pianoforte e solo successivamente ti sei dedicato all’arpa. Com’è nata questa passione per uno strumento che, nella maggior parte dei casi, è appannaggio femminile, e che ti ha portato poi a privilegiarlo rispetto al pianoforte?
Durante gli ultimi anni di studio di pianoforte (mi sono diplomato a ventitré anni) ho avuto la possibilità di ascoltare l’arpa in un concerto. Prima non avevo mai preso in considerazione l’arpa come strumento, semplicemente era come se non esistesse. L’arpista che ho ascoltato mi ha subito affascinato e, dopo quell’esperienza, ho cercato in tutti i modi di avvicinarmi allo strumento. Così mi sono iscritto ai corsi di arpa in Conservatorio a Parma e mi sono diplomato anche in questo secondo strumento. È a vent’anni che ho iniziato colla mia prima arpa. La fascinazione è arrivata dal suono, molto particolare ed evocativo. Non mi sono mai posto il problema che a suonare l’arpa fossero in prevalenza delle donne e poi c’era Nicanor Zabaleta. Nel ‘93 ho cominciato a informarmi comprando i CD di Zabaleta, documentandomi sul repertorio arpistico.
Hai incontrato difficoltà a proporti come arpista, in Italia, sia da solista che in orchestra? Che differenze hai trovato suonando in orchestre italiane e straniere, l’organizzazione del lavoro, la qualità, il livello?
Io mi sono sempre trovato bene in orchestra, ovunque, non ho incontrato nessuna difficoltà né in Italia né all’estero. Credo che tutto dipenda dal proprio carattere; è chiaro che si può trovare la situazione più o meno piacevole ma dipende da te, da come ti poni di fronte alle cose e alle persone. Propormi come solista non è stato sempre facile, come, credo, per tutti i solisti, ma forse più come arpista rispetto ad altri strumentisti, probabilmente perchè l’arpa è uno strumento meno richiesto. Quello che è importante è cercare di crearsi degli spazi, volerli creare dove non ci sono, darsi da fare e non aspettare mai che la prima pietra venga posta da qualcun altro, anche perché lottare contro lo star system non è possibile. Io ho avuto la fortuna di essere sempre vissuto vicino agli ambienti concertistici, sia come musicista che come organizzatore, e questa esperienza mi ha giovato molto perchè capire come presentare i progetti è importante, ed è altrettanto importante conoscere chi organizza le attività musicali, avvicinarsi alle persone, chiedere appuntamenti, coltivare i rapporti con amministratori locali, uffici, proponendosi sempre alla pari, sempre personalmente, senza scoraggiarsi davanti ai dinieghi. Se si studiano e si presentano progetti particolari per alcune realtà e questi progetti vengono motivati ed illustrati personalmente a chi organizza eventi, non è difficile che vengano accettati. Le persone sono come te, quindi bisogna interfacciarsi, scrivendo, illustrando, insistendo, e così via. È così che ho chiesto ad alcuni attori come Paola Gassman, Monica Guerritore e Lella Costa delle collaborazioni e le ho ottenute. In alcuni casi ci siamo cercati a vicenda. Però il rapporto è sempre interpersonale. Io ho imparato molto ad interagire con gli altri attraverso l’osservazione, dagli incontri in treno a quelli al bar, nei luoghi pubblici, vedendo i comportamenti delle persone in coda alla posta, alla fermata dell’autobus, ecc.
C’è stata da qualche anno a questa parte una grande rivalutazione dell’arpa nel repertorio barocco, come strumento fondamentale nel basso continuo, che significa, spesso, essere uno strumento di accompagnamento al canto. E tu accompagni spesso i cantanti sia all’arpa che al pianoforte. Qual è il tuo rapporto col canto e coi cantanti?
Per me questo è stato e continua ad essere la base della mia carriera. Se non avessi incominciato ad accompagnare i cantanti quando ancora studiavo pianoforte in Conservatorio non avrei mai capito cosa significasse fraseggiare. La vera scuola per me è stata accompagnare i cantanti, perchè quando tu suoni un pezzo coll’arpa devi assolutamente anche cantarlo! Questa scuola la consiglierei a tutti. Forse non tutti i colleghi arpisti hanno questa attenzione verso il canto, e pochi strumentisti in generale. Io ho studiato anche canto, per tre anni in Conservatorio a Parma; ho fatto parte del coro del Teatro Comunale di Modena per varie produzioni e questo mi ha ulteriormente arricchito. Per me accompagnare al pianoforte e all’arpa è indifferente; ovviamente non è possibile accompagnare tutto il repertorio vocale all’arpa e, se lo faccio, sono spesso mie trascrizioni. Ci sono cose che non suonano bene e che non hanno senso eseguite dall’arpa e che necessariamente devo accompagnare al pianoforte.
Si pensa che il repertorio per arpa sia limitato, perché in realtà non si conosce molto, e i recital per arpa sono assai rari nelle stagioni concertistiche, almeno in quelle nostrane. Le numerose formazioni di cui tu fai parte, le orchestre in cui suoni, i recital in cui ti esibisci smentiscono quest’idea. Cosa ti interessa di più da proporre al pubblico, oggi? Come compili un programma per sola arpa, per esempio?
Devo assolutamente conoscere l’uditorio che ho davanti, perchè a seconda della stagione e del pubblico compilo programmi differenziati. Se sono all’interno di una stagione specialistica, dove si presume ci sia un pubblico abbastanza preparato, posso limitarmi a un repertorio solistico originale. In generale preferisco programmi antologici attraverso i secoli, mai monografici. Se invece ho un pubblico che, presumibilmente, non si è mai avvicinato allo strumento, utilizzo anche le mie trascrizioni di brani celebri, canzoni, oltre a pezzi classici del repertorio arpistico. Credo che sia importante che il pubblico possa riconoscere delle melodie famose, che possa “partecipare” alla musica.
È, in fondo, ciò che faceva Liszt colle sue trascrizioni e parafrasi dalle opere, diffondendo quella musica in una maniera originale... Come formi un programma per le scuole?
Un programma per le scuole... è fondamentale il repertorio da scegliere, ma è più importante fare una lezione concerto, ossia porsi anche come relatore, perchè i ragazzi hanno bisogno di capire ciò che stanno ascoltando, glielo devi spiegare perché nella maggior parte dei casi non hanno mai avuto la possibilità di ascoltare nulla di ciò che proponi. Più che scegliere i brani che compongono il programma, è forse importante trasmettere, per prima cosa, l’amore per lo strumento, la cosa che fai, la passione per ciò che si fa. Devi far capire che tu sei un mezzo, attraverso di te la musica si esprime, e i ragazzi si pongono immediatamente in posizione d’ascolto, altrimenti restano in un atteggiamento esclusivamente passivo, davanti a una persona che fa solo cose che loro non sanno fare e rischiano di annoiarsi. A questo punto qualsiasi cosa tu esegua ha un’importanza relativa, anche se è chiaro che scelgo dei brani che abbiano presa sui ragazzi e la cui durata sia, al massimo, di tre minuti (l’attenzione cala presto…): un allievo ha appena preso un brutto voto, un altro ha l’interrogazione di scienze all’ora successiva, un’altra ha la mamma in ospedale... Io devo oltrepassare questi ostacoli reali e lo metto in pratica soprattutto facendo capire che ciò che sto per intraprendere è una cosa che anche loro potrebbero fare, non solo un appannaggio mio, stimolando la loro partecipazione e creatività.
Il ragazzo può essere interessato se capisce che attraverso lo strumento che tu suoni può arrivare all’assoluto, al di là delle cose (e delle corde…). È questa la comunicazione, secondo me.
Raccontaci della musica d’insieme che fai nelle più varie formazioni, come nasce e come continua soprattutto, dal duo di arpe ai settimini.
Le mie formazioni sono soprattutto i duo. Con voce, con arpa (duo di arpe) e con flauto. Perchè secondo me solo tramite il duo si esprime una grande potenzialità. Poi arpa e quartetto d’archi e arpa e piccola orchestra da camera. Oppure un ensemble di arpe, che ho formato con le mie allieve, una decina di arpe (celtiche), e che si chiama “Ensemble Aurora”. I duo sono nati da rapporti di amicizia; è difficile, per me, pensare di suonare in duo con qualcuno con cui non sei legato. Può succedere qualche volta, ma non è mai come qualcuno che conosci veramente bene. Naturalmente sono tutte persone che abitano abbastanza vicino a me; sarebbe altrimenti impossibile avere una continuità. Per gli Ensemble, e mi riferisco a quello di arpe, per continuare a farlo funzionare bisogna coinvolgere le allieve, anche semplicemente chiedendo di passare una giornata a casa tua, facendo due chiacchiere, prendendo un tè... bisogna stare tra noi, con le persone, coinvolgendole, e le persone si sentono accolte, amate… in questo modo nasce l’ entusiasmo.
Come vedi inserita l’arpa nella musica moderna? Ossia, che repertorio?
Quando c’è, l’arpa ha sempre una certa rilevanza. E in orchestra c’è rispetto per l’arpa, anche se non sempre tutti i colleghi capiscono le difficoltà dello strumento… All’interno della composizione religiosa, John Rutter, americano, scrive molto bene musica per arpa ad uso liturgico, musica che ho anche suonato, interessante. Poi ci sono gli autori di colonne sonore per il cinema, Rota, Morricone, Piovani, Williams... Farò prossimamente uno spettacolo dove ci saranno Angelo Branduardi e Mango il 18 e 20 giugno, a Milano, sulle terrazze del Duomo, e lì c’è una bella parte per l’arpa.
Un incontro importante nella tua carriera, che ha segnato la tua vita artistica successiva. Nel 2003 con Alain Lombard... suonavo nell’Orchestra della Radio della Svizzera Italiana e lì ho imparato, con lui, cosa vuol dire suonare in orchestra. Vuol dire essere sempre superpreparato! Il Maestro Lombard una volta mi ha fatto ripetere un passaggio da solo davanti a tutti ed era un passaggio che non avevo studiato perfettamente, e che, appunto, mi è venuto non suonato perfettamente! Non era gradevole sentirsi addosso gli occhi di tutti i colleghi, quando non sei preparato a fondo... Il giorno dopo era tutto a posto, naturalmente, ho studiato bene la parte, però lì ho capito quanto era importante lo studio preventivo; la preparazione non va mai sottovalutata! Da quella volta in poi, suonando in orchestra, ho capito che dovevo studiare, studiare, studiare e prepararmi con scrupolo. Che vale poi per qualsiasi cosa.
Davide come insegnante. A che età, generalmente, iniziano a studiare l’arpa i ragazzi? C’è molta richiesta da parte degli allievi, oggi, in Italia?
Io faccio spesso lezioni-concerto in tutte le scuole d’ogni ordine e grado e dipende anche da me se poi avrò allievi: molti di essi potrebbero provenire proprio da quelle lezioni. Chi conosce l’arpa oggi, con la disinformazione dilagante che abbiamo? Manca poco e non sapranno neanche cos’è un pianoforte. Se faccio delle lezioni-concerto convincenti, appassionanti, divertenti troverò sempre qualche ragazzo o ragazza che si incuriosirà e che intraprenderà lo studio dell’arpa. All’Istituto Peri di Reggio Emilia, l’istituto pareggiato al conservatorio dove insegno, io mi occupo solo della fascia d’età dagli otto ai dieci anni, dalla terza alla quinta elementare. Devo dire che, nel mio caso, ho una percentuale molto limitata di allievi che decidono di abbandonare lo strumento. Magari può succedere che durante il percorso strumentale cambino indirizzo e scelgano altri strumenti. Tutti iniziano con l’arpa celtica. Poi ci sarà chi farà musica di intrattenimento, altri si concentreranno sulla musica liturgica, altri ancora per fare diversi tipi di musica, folk, etc. Io uso un metodo personalizzato per ogni bambino perché ritengo il percorso insegnante-allievo un lavoro individuale, in cui cerco di seguire l’indole della persona, ed è la ragione per cui non tutti suonano le stesse cose. Certo, ci sono esercizi comuni, ma il repertorio varia per ogni allievo; può coincidere in alcuni casi, ma dipende dalla conformazione della mano, da particolarità fisiologiche e anche psicologiche. Inoltre dipende dagli allievi che talvolta eredito, se l’impostazione precedente era diversa, eccetera. Poi in altre scuole private ho allievi di varia età, anche di quaranta o cinquant’anni, anche persone che non intraprenderanno una carriera ma che lo fanno per il puro diletto.
Davide come organizzatore artistico. Nelle ormai consolidate rassegne estive modenesi di cui tu sei direttore artistico quali sono i criteri di scelta nella compilazione delle stagioni?
Mi regolo in base ai gusti del pubblico che già conosco da anni e quindi cerco di conformarmi, dando però allo spettatore sempre qualcosa di più, perchè comunque il mio scopo è anche didattico, voglio mostrare sempre qualcosa di nuovo, altre vie di fruizione della musica. “Lungo le antiche sponde” comprende ormai 14 concerti, e divido la carica di direttore artistico col chitarrista Andrea Candeli. Per “Musica a San Michele” organizzo 5 concerti e per “Classica a Rocca Santa Maria”, in un’incantevole pieve romanica nel Comune di Serramazzoni, in provincia di Modena, 4 concerti. A me piace proporre programmi vari, sempre antologici, perchè ho trovato che il pubblico apprezza la varietà di generi mentre ai concerti monografici si annoia. E forse anch’io.
Un progetto a cui vorresti dar vita, prima o poi.
Mi piacerebbe molto creare una specie di agriturismo musicale: un luogo in campagna dove poter fare degli incontri, dove gli ospiti inizino con una settimana di nutrimento musicale, con dei seminari, per esempio. Gli ospiti avrebbero la possibilità di vivere insieme, e a poco a poco mi piacerebbe far durare la loro presenza più di una settimana. Una situazione, cioè, in cui sia evidente non solo l’aspetto musicale ma anche quello della vita in comune, della conoscenza tra le persone. In fondo tutto ciò contribuirebbe alla creazione e al mantenimento del pubblico del futuro.
Maggiori informazioni sull’artista e i suoi CD:
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